In presenza e anche a distanza: così possiamo tornare a scuola

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Una trama kafkiana

Nel Castello di Frank Kafka, il protagonista K. è un agrimensore (Landvermesser), colui che misura il terreno. Un’immagine che richiama quella della scuola italiana durante l’estate scorsa, catturata in una trama kafkiana, in quanto intenta, metro alla mano, a prendere le misure, aula per aula, al fine di garantire il distanziamento di un metro tra le rime buccali. Al contempo, l’immagine di chi è sottoposto qualcosa di sfuggente e lontano i cui messaggi comportano un incessante esercizio ermeneutico, tra circolari e rilevazioni un istante per l’altro.

E’ stata la fase in cui si creduto che la soluzione fosse nell’organizzazione dello spazio o nella disposizione dei banchi. Un lavoro tanto necessario quanto insufficiente. Oltre allo spazio occorreva valutare il tempo, a partire dall’orario delle lezioni, tuttora provvisorio, esemplificazione tangibile di una condizione più generale.

 

Salute e sicurezza

Ad ogni buon conto, la scuola, oggi, si presenta come un ambito sociale come pochi altri fondato sul nesso salute-sicurezza, frutto di regole predisposte proprio mentre altrove, nella stessa estate, tra ripartenze abborracciate e improvvide aperture di discoteche, qualcuno si illudeva che il pericolo fosse ormai definitivamente alle spalle. Solo che il Covid-19 non era dietro, ma davanti e, dall’inizio della seconda ondata, non ha smesso di restarci, ponendo noi tutti in una condizione di affanno nella rincorsa.

La seconda ondata ha colpito la scuola senza una particolare responsabilità della scuola. Neanche un mese dall’inizio dell’anno scolastico – precisamente il 14 settembre – è intervenuto il primo DPCM della nuova serie, quello del 13 ottobre. A seguire, nell’arco di appena venti giorni, gli altri, da quello del 18 a quello 24 ottobre, fino a quello del 3 novembre, in vigore sino al 3 dicembre. Nel giro di quaranta giorni si è rotto l’incantesimo, l’instabile equilibrio faticosamente costruito durante l’estate e presto si è arrivati, almeno per le scuole secondarie superiori, al 100% di didattica digitale integrata.

 

Back to School?

Ora, animatamente, si discute di un “ritorno a scuola”. Così come prima non è stato spiegato perché chiudere le scuole ad appena un mese dall’impegnativo riavvio, lasciandolo solo larvatamente intuire. Così adesso non si spiega perché “riaprirle”, a poche settimane dalla chiusura, in prospettiva di un periodo, quello della vacanze natalizie, in cui le scuole, senza pandemia, sono sempre state sempre chiuse.

Nel breve volgere di pochi giorni dall’annuncio di una possibile riapertura il 9 dicembre si è approdati alla presa d’atto che, prima del 7 gennaio, non se ne parla. Sarebbe bene chiarire, ancora una volta, che il tema non è il “se” ma il “come”. Che occorre dotarsi di un metodo: disporre di dati sulla situazione epidemiologica e le sue conseguenze sulla scuola, anche sulla base delle rilevazioni promosse dal Ministero dell’Istruzione su SIDI, non senza una valutazione attenta da parte di chi ha competenze in materia, come il Comitato tecnico scientifico, preparando un progetto fondato su alcuni presupposti.

 

Integrazione

Il primo: si tende a stabilire una separazione tra didattica in presenza e didattica a distanza. È un errore. Tale separazione è stata superata nel momento in cui, in data 7 agosto 2020, il Ministero dell’Istruzione ha promosso il DM 89, allegando le Linee guida per la didattica digitale integrata, esortando le scuole a giovarsene con un Piano per la DDI da adottare entro la fine di ottobre come allegato al PTOF (Piano Triennale dell’offerta formativa). Termine temporale “ordinatorio”, non “perentorio”, ma non meno cogente, nella situazione data. Nel frattempo, il 25 ottobre, è stata sottoscritta un’ipotesi di contratto sulla DDI tra Ministero dell’Istruzione e alcune OO.SS. quali Flc-Cgil, Cisl-Scuola, Anief.

Integrazione è parola chiave. Può significare presenza, ma anche distanza, ovvero, al contempo, presenza e distanza. Quando avremo auspicabilmente superato la pandemia, grazie a provvedimenti conformi, comportamenti responsabili e, infine, esaurita la fase degli annunci, grazie alla somministrazione del vaccino, potrà capitare che uno studente, una mattina, per qualche motivo, possa sentirsi indisposto: se vorrà, potrà collegarsi, da casa, all’aula della sua scuola, ove si svolge l’attività didattica in presenza, partecipandovi a distanza. Questa novità è una conseguenza del Covid-19 e insieme un acquisto a favore di una didattica innovativa, in quanto basata sulla competenza digitale, che rimarrà oltre il Covid-19. Sarebbe auspicabile che il dibattito pubblico ne tenesse conto, magari aggiornandosi un po’.

 

Gradualità

Il secondo: la gradualità. Posto l’obiettivo di un ripristino in toto della didattica in presenza, per arrivarci si possono – ragionevolmente si devono – fare passi coordinati e successivi. L’ultimo DPCM in ordine di tempo, quello del 3 novembre, all’articolo 1, comma 9, lettera s, ha prescritto il 100% di didattica digitale integrata, aggiungendo che l’attività in presenza possa svolgersi “qualora sia necessario l’uso di laboratori o in ragione di mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali”.

Ora, per rispettare lo “spirito del DPCM” – fondato sull’esigenza del massimo contenimento del rischio-contagio – è necessaria l’avvertenza di prevedere un numero di studenti che garantisca il distanziamento necessario. Corretto lavorare con piccoli gruppi nella modalità della Peer Education per l’inclusione; così come per garantire l’utilizzo in sicurezza dei laboratori.

Nel prossimo DPCM, in preparazione in queste ore, non verrà scritto così, ma sarebbe auspicabile fosse scritto – grosso modo – così: “Le scuole secondarie superiori adottano la metodologia della didattica digitale integrata in coerenza con i Piani per la DDI approvati dal Collegio dei docenti”. Senza indicare percentuali. E aggiungendo: “L’inclusione e l’attività nei laboratori, per la loro particolarità, si realizzano in presenza”. Siccome non esistono solo i Licei, ma anche gli Istituti Tecnici e Professionali, sarebbe un passo in avanti verso un progressivo ritorno alla presenza di particolare rilievo sul piano formativo.

 

Programmazione

Il terzo: la programmazione. Non si fa che parlare di impiego di risorse, non di rado con scarsa considerazione per le compatibilità. Per mettere mano al trasporto pubblico locale (TPL) ne occorrono, ma non senza un indispensabile indirizzo politico coordinato tra governo nazionale e governi regionali, unendo le politiche per la salute a quelle scolastiche e per la mobilità, in raccordo con il sistema degli enti locali e con le aziende chiamate a gestire il TPL. Occorre un studio analitico, scuola per scuola, per reti di scuole territorialmente più prossime, definendo ben delineati bacini di utenza. Occorre pensare all’intermodalità. Corse potenziate grazie ad accordi con mezzi di trasporto privato inutilizzati. Dislocando quote di utenza verso forme alternative.

Prendiamo gli incentivi promossi a favore dell’acquisto di biciclette. Se fossero stati orientate di più – e per tempo – verso l’utenza scolastica, non tutto sarebbe risolto, ma una quota, per quanto parziale e limitata, ma non meno significativa sul piano qualitativo, avrebbe potuto, ed ora potrebbe, gravare meno sul trasporto pubblico.

Un progetto nazionale, impostato sul territorio, potrebbe dotarsi di non irrilevanti motivazioni educative connesse alle buone pratiche, agli stili di vita, ovvero a quella sostenibilità green, di cui tanto si parla, per un sempre maggiore ricorso ad una mobilità “dolce” o “attiva”, collegandosi, con esemplificazioni concrete, all’insegnamento di Educazione civica reintrodotto quest’anno, non senza una storia antica che risale ad Aldo Moro, ministro della Pubblica Istruzione tra il 19 maggio 1957 e il 15 febbraio 1959, fautore del DPR 585 del 13 giugno 1958. Una novità di 62 anni fa.

 

Diritto all’apprendimento

Insomma, occorre uscire al più presto da un dibattito astratto “scuola chiusa/scuola aperta” per ragionare, nel merito, di ciò che è possibile fare, contemperando il diritto alla salute e il diritto all’apprendimento. Ci si potrebbe così rendere conto del fatto che le scuole non sono mai state realmente chiuse, siccome sono tuttora aperte. Nelle forme possibili. Quelle definite dai DPCM. La scuola del primo ciclo in presenza, eccezion fatta per gli ultimi due anni della scuola secondaria di primo grado nelle “regioni rosse”. La scuola secondaria con lezioni nel formato della didattica digitale integrata indicata dalla Linee guida del Ministero dell’Istruzione allegate al DM 89 del 7 agosto 2020. I docenti a scuola, gli alunni a casa, con deroga, stabilita dal DPCM del 3 novembre, a favore della presenza per inclusione e laboratori.

 

Una linea sbagliata

Lasciando accuratamente da parte – a maggior ragione nel momento in cui da altre ere geologiche riaffiora l’ombra di un “rimpasto” – la denigrazione delle persone, occorre prendere semplicemente atto che i giornali, in genere, si limitano a fare il loro mestiere. La ministra delle Infrastrutture forse è stata fraintesa, forse poteva esprimersi meglio. Non si tratta mai solo di comunicazione, ma anche, se non soprattutto, di approccio politico.

L’assessore regionale ai Trasporti dell’Emilia-Romagna, su “Repubblica Bologna”, sotto il titolo “Sì al rientro in classe con doppi turni e di sabato”, ha dichiarato che “Le scuole che oggi non sono aperte al sabato devono pensare di restarlo, perché è un giorno importante”. Di fronte alla domanda conclusiva: “Lei crede che sia fattibile riprogrammare gli orari nelle scuole da qui al 7 gennaio? Risposta: “Non so sinceramente cosa ne pensano gli insegnanti, ma mi fermo qui”. In una questione cruciale come questa, sia il governo nazionale, sia quelli regionali, non possono presentarsi in ordine sparso, occorre un punto di vista ben raccordato tra quanti si occupano di salute, scuola e trasporti, premurandosi di recepire, prima, per tempo, il punto di vista degli docenti e di quanti altri hanno motivo di essere consultati e ascoltati.

 

Ripensare la mobilità

Ora, lasciando da parte le imprecisioni, siccome la perfezione non è di questo mondo e ampi sono sempre i margini di miglioramento – sottolineando un’ovvietà: la gran parte delle scuole già lavora il sabato – resta intatta l’esigenza di garantire un percorso casa-scuola e scuola-casa più protetto da adeguate precauzioni per circa 2.600.000 studenti (quelli della secondaria superiore) in riferimento ad una popolazione scolastica complessiva di 8.500.000 studenti.

Occorre fare attenzione a pensare di risolvere il problema semplicemente aumentando la frequenza degli autobus all’andata e al ritorno, siccome è ben noto che gli studenti scelgono l’ultimo bus in partenza all’andata ed il primo in partenza al ritorno. Occorre prendere atto che, nonostante il vigente limite di occupazione del 50%, il controllo potrebbe non funzionare se non fosse esercitato. Forse potrebbe avere senso coinvolgere il mondo non profit più professionale, dai Vigili del Fuoco alla Croce Rossa, come già in occasione degli esami di Stato, perché si dia un’adeguata sorveglianza e vigilanza già alle fermate.

 

Un progetto serio

La scuola è missione educativa, non un generico fare, ma un fare ispirato a questa fondamentale missione: formare. La domanda, dunque, è questa: cosa possono fare le scuole? Certo: fornire dati sugli spostamenti degli studenti, differenziando quanti risiedono in prossimità della scuola, quanti possono fruire del trasporto urbano, quanti devono ricorrere a quello extraurbano. Favorire gli ingressi scaglionati. E’ stato fatto e si può ulteriormente sperimentare. Purché con realismo, rispetto del lavoro di tutti, compresa l’attenzione alle compatibilità tra i tempi per lo studio a scuola e i tempi per lo studio a casa.

In conclusione: si costruisca un progetto, serio, si definiscano soluzioni, chiare, e se ne promuova una discussione, trasparente. L’intervista, come l’intendenza, seguirà.

Marco Macciantelli

Allievo di Luciano Anceschi, dottore di ricerca in Filosofia, già coordinatore della rivista “il verri”, agli studi e alla pubblicazione di alcuni libri ha unito l'impegno politico di amministratore pubblico.