Il ruolo della fondazione Open riapre un problema politico (non giudiziario)

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C’è qualcosa, nella vicenda dei finanziamenti alla fondazione Open (la cassaforte di Matteo Renzi, della sua cerchia politica e della sua Leopolda) di assolutamente politico, che illumina, ce ne fosse ancora necessità, le scelte dell’allora segretario del Pd e coinvolge l’etica della politica, l’onestà umana e soprattutto politica nei rapporti con il proprio partito e con gli elettori delle primarie che gli hanno permesso di guidarlo e di andare a presiedere il governo del Paese.

Gli aspetti giuridici sono altra cosa e sarà la Magistratura ad approfondirli ed eventualmente a giudicarli; quello che qui ci interessa sottolineare è decisamente altro e riguarda milioni di persone che negli anni del renzismo hanno votato per il Partito democratico, centinaia di migliaia di iscritti e decine di migliaia di militanti ai quali consapevolmente e con spietata lucidità è stata tolta la terra sotto i piedi e negata l’aria per respirare.

Emerge in questi giorni quello che molti avevano non solo intuito e vissuto sulla propria pelle, ma anche denunciato all’interno del partito: non tanto la volontà di ridurre il Pd a un partito personale composto da comitati elettorali, quanto invece quello che era ed è il disegno di ridurre la politica ad una questione di gruppi di élite, di circoli chiusi, di distruzione della sinistra nel Paese.

Mentre, attraverso la fondazione Open, Renzi finanziava la sua corrente, chiudevano i circoli del Pd messi in ginocchio dalla mancanza di fondi e dalla linea di chiusura degli spazi di discussione democratica all’interno del partito; mentre Renzi creava il patrimonio della sua corrente venivano chiuse l’Unità, Europa e Youdem.

Chi allora denunciava la costruzione di un “partito nel partito” veniva non solo deriso, ma era oggetto quotidiano di estenuanti attacchi e man mano che nei territori riuscivano a imporsi gruppi dirigenti renziani veniva estromesso da ogni incarico di responsabilità mentre la tenaglia da un lato della politica del governo Renzi e dall’altro dello svilimento costante delle istanze di partito rendevano inarrestabile il fiume dei distacchi di migliaia, decine di migliaia di iscritti e militanti che si allontanavano e lasciavano ogni impegno, mortificati dall’arrampicata del renzismo e dei suoi esponenti. Diventava una grande falla nel corpo del partito quella che allora definimmo “scissione silenziosa”.

Unico caso al mondo di un segretario di partito che lavora giornalmente contro il suo partito, unico caso di premier del campo progressista che insulta e mortifica i corpi intermedi della società, che si rifiuta di sedersi al tavolo con i sindacati, Renzi costruisce giorno per giorno il “suo” partito demolendo con pervicacia quello alla cui guida è riuscito a imporsi.

Renzi agisce a tutto danno del suo il proprio partito e riuscendo a piazzare ovunque le sue pedine, dalle commissioni parlamentari ai direttivi dei circoli superstiti: in un’opera studiata e programmata di svuotamento del partito, il suo segretario, da generatore di linfa vitale quale dovrebbe essere, diventa invece il nocciolo del tumore maligno che attacca la parte sana e la distrugge.

L’ex sindaco, l’ex presidente di provincia, ora segretario tenta più volte di attrarre nella sua politica, nella sua sfera Forza Italia prima con i tentativi pubblici di accordo e di reciproco endorsement che hanno il culmine in quello che fu definito ’”patto del Nazareno”, poi con il lavoro sotterraneo aspettando il momento opportuno, quando Forza Italia è stritolata e asciugata dall’ascesa di Salvini, per fondare finalmente il proprio partito raccogliendo qua e la pezzi della “destra moderata” che si staccano da un Berlusconi ormai inesorabilmente sul viale del tramonto, non tralasciando però di tenere in piedi nel Pd una sorta di quinta colonna, un manipolo di fedelissimi che ancora debbono continuare il compito di distruzione.

Tutto questo esula dalle inchieste della magistratura e appartiene alla politica e richiama con forza la necessità di ricostruzione della sinistra, di andare oltre, di costruire qualcosa di nuovo davvero, di prendere atto della necessità di dare le risposte che a gran voce oggi chiedono tanto i ragazzi di Greta quanto quelli delle Sardine, di dare risposte concrete alla domanda di lavoro, di riaggregazione sociale, di una vera inversione di tendenza.

Ripetere oggi “avevamo ragione noi” non basta e serve a poco. Bisogna lavorare per nuove prospettive, per riportare sui binari un Paese che sta deragliando, per essere più forti del tumore maligno che ci ha assalito, per tornare compiutamente ad essere sinistra.

Giampaolo Pietra

Nato il 1/10/1955, fondatore di Articolo Uno a Sesto San Giovanni, membro della segreteria metropolitana di Milano. Membro del comitato di presidenza dell'Anpi cittadino.