Il futuro dell’impresa è anche sociale. Verso la manifestazione del 14 giugno

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Il messaggio che ha lanciato di recente a Milano l’americana Salesforce, che oggi fornisce sistemi digitali completi a ben 160 mila imprese di tutto il mondo, è chiaro e interessante: “Per reggere occorre più impegno verso le comunità”. Siamo davanti a una rivoluzione tecnologica senza precedenti nella storia moderna, ma molti non capiscono o fanno finta di non capire ancora.

La tecnologia è positiva ma impone nuovi modelli di sviluppo. Servono nuove forme di partnership pubblico-privato per gestire la competitività ma anche l’impatto sociale di queste trasformazioni che altrimenti possono avere conseguenze davvero preoccupanti. Un mondo di diseguaglianze economiche estreme è un mondo insostenibile, anche per le stesse imprese. Le imprese devono prendere coscienza dei problemi etici e sociali posti dallo sviluppo dell’economia digitale che continua a crescere ma senza regole né limiti. Una logica concentrata solo sulla massimizzazione del profitto non funziona più.

In altri termini, oltre a preoccuparsi della distribuzione dei dividendi fra gli azionisti bisogna imparare ad occuparsi anche dei dipendenti e delle comunità che vivono per le imprese ed attorno alle stesse. Quello che continua a mancare, disattendendo anche il dettato costituzionale (vedi articolo 41), è la responsabilità sociale d’impresa prevista anche nel contesto della libera iniziativa economica. Bisogna non perdere di vista perché si fa impresa, in un contesto nazionale quanto internazionale; aver ben chiaro che occorre un grande impegno nel campo della formazione.

Questa non è solo una scelta politica ma anche una necessità. Quando ero giovane si parlava di “personale”; oggi che vado verso la pensione si parla fortunatamente di “risorse umane”. Sapete perché? Perché abbiamo fatto un salto cognitivo: chi lavora non è più solo un costo ma una risorsa da considerare nel conto economico patrimoniale. Questo però non deve restare su carta ma piuttosto alimentarsi con i fatti.

Tecnologia è progresso; ma il processo va governato tenendo in debita considerazione questo salto. Non ci sono precedenti nella storia di ondate d’innovazione così imponenti ed invasive. Il cloud computing, la scienza dei dati, l’era delle tecnologie mobili, l’internet delle cose, la blockchain, l’intelligenza artificiale sono tutte novità positive. Ma sottendono processi di “digital distruption”: un cambiamento nel modo di gestire i prodotti e i servizi offerti alle imprese.

Bisogna trovare il modo e la voglia, tra pubblico e privato, di evitare il diffondersi della disoccupazione, sotto-occupazione e diseguaglianze economiche sempre più insopportabili che arrivano a compromettere finanche la coesione sociale e la tenuta nazionale. Se non cresce la sensibilità su queste problematiche sociali fra le imprese e fra i banchieri temo andiamo a sbattere.

Credo che questa riflessione torni di maggior attualità proprio in vista delle grandi manifestazioni dei metalmeccanici del prossimo 14 giugno previste in tre città:  Milano, Firenze e Napoli. Non a caso i sindacati confederali hanno scelto come titolo della manifestazione popolare: Futuro per l’Industria.

Rosario Muto

Laureato in Ingegneria Elettrotecnica c/o Politecnico di Napoli. Lavora nel Settore Aeronautico di Leonardo-Finmeccanica c/o Stabilimento di Pomigliano d’Arco (NA). Si interessa di Business Development & Program Management nell’ambito delle nuove iniziative industriali. Autore di studi su “Programmazione Industriale nell’area metropolitana di Napoli tra suggestione e realtà”. Esperienze maturate anche nelle Istituzioni Locali.