“Voglio vedere la gente soffrire perché i nostri nonni si sono spaccati la schiena per costruire l’Italia”
Matteo Renzi, l’uomo che sussurra ai sofferenti, si allinea con Confindustria: meglio salari da fame che aiuti dallo stato, meglio il caos di centinaia di contratti diversi che la dignità del lavoro, meglio che chi non è in grado di arrangiarsi sia messo ai margini e non riceva alcun aiuto in reddito e formazione.
La volgarità di quanto affermato dall’emiro toscano è totale: il fatto che lui di sofferenza ne ha patita davvero poco o nulla toglie ogni credibilità alle sue frasi anche se le si prendesse come sprone, cosa che non sono perché il tono e le parole usate sono di disprezzo e trasudano la mentalità della discriminazione e della colpevolizzazione della povertà, della disoccupazione, della fatica vera che milioni di persone affrontano giornalmente per sbarcare il lunario.
“I nostri nonni si sono spaccati la schiena per costruire l’Italia”, certo. Se la sono spaccata per uscire dalla pagina buia del fascismo e della guerra e poi per ricostruire un Paese a pezzi, ma anche per raggiungere un livello moderno di diritti, per costruire una rete di welfare, di sostegni e di diritti civili e sociali che oggi è continuamente messa in discussione ed attaccata proprio da chi come Renzi insiste nella logora e trita falsa fotografia dei fannulloni che non hanno voglia di lavorare e preferiscono vivere di sussidi.
Si deve ricordare al senatore da quale lato del Mediterraneo siamo e che come in ogni Paese europeo lo stato sociale con le sue reti di protezione è alla base della convivenza e dell’organizzazione pubblica, gli si deve ricordare che quello che manca non è la voglia di lavorare, ma il lavoro e quando c’è troppo spesso e in modo sempre più esteso è caratterizzato dallo sfruttamento e dalla precarietà. Gli si deve ricordare di come la ricchezza sia sempre più in mano esclusivamente a una élite sempre più ristretta, che le battaglie da intraprendere non sono quelle contro i poveri, ma quelle contro la povertà diffusa, contro le delocalizzazioni, le sedi aziendali nei paradisi fiscali, la frammentazione del mercato del lavoro, gli ostacoli reali che impediscono ai giovani di costruirsi una prospettiva di vita, di formarsi una famiglia, di intravedere un futuro possibile.
Ricordiamogli anche che se lui affermava di “andare in Europa a battere i pugni sul tavolo” mentre in realtà tornava sempre con la coda tra le gambe, altri in Europa ci sono andati davvero con fermezza ed argomenti contribuendo in maniera decisiva a un’inversione di rotta delle politiche comunitarie e riuscendo ad ottenere una quantità di risorse fino a quel momento inimmaginabili e che oggi il compito primo della politica è l’utilizzo di quei fondi per una ripresa vera e duratura.
Ricordiamogli anche che ripresa non significa ulteriore arricchimento dei soliti, ma mettere in campo politiche e strumenti che permettano una redistribuzione della ricchezza, lo sviluppo di nuove politiche industriali che consentano un nuovo patto del lavoro governato da regole certe e dal rispetto.
Il Senatore Renzi che si pavoneggia di essere, come si diceva una volta, “un cavallo di razza” dovrebbe rendersi conto che chi vuole essere leader, chi vuole essere credibile deve confrontarsi con la realtà, affrontando i nodi veri che si hanno di fronte che non si sciolgono con le uscite degne del Briatore di turno.