Gioco d’azzardo tra proibizionismo e zona grigia: il dilemma del legislatore

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Il decreto ‘Dignità’ varato dal governo prevede una messa al bando pressoché totale della pubblicità relativa al gioco d’azzardo. Un’azione legislativa meritoria, che i parlamentari di LeU non possono ignorare, ma parziale, mancante di una visione completa dell’animo umano che – come la psicoanalisi insegna – contiene una componente autodistruttiva ineliminabile, una zona grigia refrattaria alla legge.

Quando si parla di dipendenza patologica dal gioco si fa riferimento a un fenomeno interessato da una rapida e capillare diffusione, specie dopo la crisi economica e lavorativa fotografata sin dal primo Rapporto Osservasalute del 2012. Perdita del lavoro e precarietà hanno favorito un aumento esponenziale dell’affido della propria sorte alle slot machines, parallelo a un incremento di spirali depressive, istinti suicidari, utilizzo di psicofarmaci. È infatti proprio di ogni periodo di crisi industriale-lavorativa il diffondersi nella società di questi rimedi effimeri che offrono una illusoria e a volte letale scappatoia dal cul de sac nel quale una generazione intera è finita.

Un governo che sposi una linea ‘no slot’ intransigente ha qualche possibilità di riuscire nel suo intento, quello cioè di salvaguardare l’incolumità psico-fisica dei cittadini? La risposta è sì. Il legislatore ha il dovere di limitare il più possibile la pubblicità di quei luoghi che promettono facili ricchezze al prezzo di alcune banconote, oscurando agli occhi di una generazione precaria il facile accesso a strumenti distruttivi, forieri di impoverimento economico e degrado morale. In tal senso, una legge che metta al bando la pubblicità dell’azzardo può incidere efficacemente sulla salvaguardia del legame sociale.

Per contro, lo Stato non può porre alcun freno a condotte individuali che non sono rifugi per vite sberciate o disperate, bensì scelte esistenziali lucide e consapevoli, quali quelle dei giocatori incalliti, che fanno dell’azzardo la passione alla quale votarsi integralmente. La legge, se applicata con un’esclusiva modalità censoria, non può nulla contro quello che la psicoanalisi chiama ‘godimento’. Quando questa è portatrice di divieti sordi e totalizzanti, crea le condizioni per il proliferare di zone grigie e delocalizzate ai margini della città, nei quali queste anime dostoevskiane ricercano momenti di sospensione dalla realtà, liberi da una legge che avvertono come asfissiante e inibente.

Occorre dunque operare una differenza tra coloro i quali cadono nelle maglie del gioco ma al contempo offrono spiragli di uscita e guarigione, e chi invece fa dell’azzardo un elemento strutturale del proprio essere. I secondi sono ovviamente un’esigua minoranza, ma esistono. A tale scopo dobbiamo utilizzare alcuni elementi di clinica, utili a comprendere la fenomenologia e la struttura dei cosiddetti “inguaribili”, per i quali qualsiasi approccio di tipo “disintossicante” ha dato esito negativo. Uno tra questi è il concetto di perversione.

Parliamo, come ho esposto in altri articoli su questo magazine, dell’obbedienza a un’altra legge, che da un lato regola la vita di molti che oggi, sempre più, bussano ai nostri studi, e dall’altro affiora dal sottobosco della città, mostrando la sua forza storica di regolatrice sottotraccia dei costumi.

Il giocatore incallito dice in seduta: ‘Giocare per me è meglio della vita. La vita è una preparazione al gioco. Il gioco è la vita’, estraendo dal suo discorso quell’elemento irriducibile che non richiede alcuna interpretazione, ma solo una gestione. Proibizione e sanzione sono elementi centrali nella vita di questi individui. Essi fuggono la legge che castra e proibisce, ma sono irrimediabilmente attratti da tutte le zone sottoposte a veto sociale. Sapere che su quel tavolo verde incombe un interdetto, lo rende ai loro occhi drammaticamente appetibile. Se questi luoghi non fossero clandestini, perderebbero quel sale i cui granelli guidano i frequentatori sino alle bische illegali, che proliferano proprio laddove il bando emanato dalla legge è più forte.

Il film Missisippi Grind descrive la parabola di due uomini totalmente dediti alla legge perversa dell’azzardo, capaci di mettere da parte il lavoro, gli affetti, la vita stessa per vedere roteare due dadi.
 In questa pellicola si trova la cifra del vero giocatore assoluto, che viola la legge obbedendo compulsivamente a un altra lex, piu forte e inattaccabile. I due protagonisti raccontano di un terzo il quale, provando a smettere di giocare, si è fatto bandire da tutti i casinò degli Usa, grazie a una legge che prevede l’auto-messa al bando. Dopo essere stato rifiutato da diverse sale da gioco, dopo cioè aver messo alla prova la tenuta della legge, il suddetto si traveste mutando la sua identità, riuscendo a gabbare i controllori e tornando davanti al tavolo verde.

È dunque vero che la limitazione ex lege della pubblicità di mondi, reali e virtuali, ove l’azzardo soppianta la legge trascinando molti nel gorgo dell’isolamento e della miseria, può essere efficace. Tuttavia, la lezione del proibizionismo ha insegnato che un’azione legislativa radicalmente asfissiante aumenta e dilata i confini di quelle zone opache ove costoro trovano rifugio.

Maurizio Montanari

Psicoanalista. Responsabile del centro di psicoanalisi applicata LiberaParola di Modena (www.liberaparola.eu). Membro Eurofederazione di psicoanalisi