Generazione voucher: perché questo Pd non capisce i giovani

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Poiché da queste parti il Pd l’abbiamo abbandonato tutti, chi prima e chi dopo, e qualcuno non vi aveva creduto nemmeno alla nascita, nel 2007, sarebbe opportuno evitare di compiere riferimenti al nostro ex partito. Poiché, tuttavia, è ancora il partito di maggioranza relativa in Parlamento e il primo o il secondo nel Paese, non ci si può purtroppo esimere dall’ingrato compito.
E non lo si può fare soprattutto in considerazione del fatto che i nostri eroi, qualche giorno fa, hanno avuto un’altra idea geniale: reintrodurre i voucher sotto mentite spoglie dopo averli aboliti integralmente per scongiurare un referendum che erano sicuri di perdere, accusando inoltre Articolo Uno, che ovviamente una manovrina con dentro questa presa in giro non l’ha votata e non la voterà mai, di voler sabotare il governo Gentiloni (il che è falso, come dimostra la dolorosa scelta di uscire dall’aula al Senato dove l’astensione equivale ad un voto contrario).
Articolo Uno, è bene ricordarlo, è composto da quel gruppo di parlamentari e dirigenti che nell’ultima Direzione del PD cui ha preso parte presentò un ordine del giorno per chiedere la garanzia che l’esecutivo venisse lasciato lavorare sino al 2018.
Articolo Uno, ancora, è quel partito che, pur esprimendo numerosi dubbi e pur avendo chiesto espressamente al presidente del Consiglio un’inversione di rotta in merito ad una linea politica rivelatasi fallimentare nei fatti, non gli ha mai fatto venire meno il proprio sostegno.
Articolo Uno, però, è anche un partito nato dalla scissione, forse persino tardiva, di un gruppo dirigente che, a un certo punto, ha avvertito la necessità di offrire una casa comune a quei milioni di militanti che, nei tre anni di segreteria Renzi, hanno sbattuto la porta al Pd, accasandosi nel non voto o nel voto di protesta al M5S. Tra questi, una miriade di giovani.
Ebbene, a pochi giorni dal voto nel Regno Unito e nella settimana che culminerà con la piazza della CGIL di sabato e con l’assemblea convocata per domenica da Tomaso Montanari e Anna Falcone, due dei protagonisti del fronte del No al referendum, ciò che sconcerta è l’incapacità renziana di fare i conti con la realtà.
L’idea che Corbyn abbia ottenuto il risultato eccezionale che tutti, tranne lui e i suoi seguaci, gli riconoscono perché ha restituito una speranza e una prospettiva ai dannati della globalizzazione, a cominciare da milioni di giovani, non lo sfiora nemmeno. Così come non lo sfiora nemmeno l’idea che un partito che ha otto giovani su dieci contro, le cui primarie vedono la partecipazione, in media, dei cinquanta-sessantenni e il cui principale avversario, fra i ragazzi, raccoglie il 40-45 per cento non abbia un futuro.
Ciò che, evidentemente, sfugge al Pd è che la mia generazione non ce l’ha con i voucher in sé, che anzi, se limitati a pochi contesti ben definiti, sono una mano santa per far emergere il lavoro nero, bensì con il loro abuso e con il fatto che questa modalità di pagamento abbia sostituito, negli ultimi anni, ogni forma di regolare contratto, compresi quelli precari e ultra-precari introdotti negli ultimi vent’anni.
Ciò che sfugge, evidentemente, al Pd è che i voucher non sono solo uno strumento ma un simbolo: l’emblema dello sfruttamento, della mancanza di opportunità e del senso di abbandono di una generazione.
Ciò che sfugge, evidentemente, a Renzi e ai suoi collaboratori è che i voucher sono diventati una forma di ricatto, un modo per tenere ai margini chi vorrebbe conquistare, invece, una cittadinanza compiuta, una modalità di dominio nei confronti di una generazione cui, continuando di questo passo, non resterà che la fuga all’estero.
Non hanno capito, in pratica, che Corbyn e Sanders, Mélenchon e i 5 Stelle, Tsipras e Podemos, pur essendo soggetti molto diversi fra loro, piacciono agli esclusi di questa stagione del mondo in quanto si battono dalla parte dei molti e non dei pochi, avendo ben compreso quanto sia reale la lotta fra il 99 per cento che arranca e l’1 per cento che domina, da tempo, oltre i limiti della moralità e del buongusto.
Se stiamo cercando di ricostruire una sinistra popolare e dotata di una sana cultura di governo, dunque, è proprio per rispondere alle ragioni e alle esigenze della nostra epoca e, in particolare, alla richiesta di inclusione dei ceti sociali più deboli.
E come diceva Berlinguer: “Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c’è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull’ingiustizia”.

Roberto Bertoni

Nato a Roma il 24 marzo 1990. Giornalista free lance, scrittore e poeta. Militante del Pd fin dalla fondazione, lo ha abbandonato nel 2014 in dissenso con la riforma costituzionale e con l'impianto complessivo del renzismo. Non se ne è mai pentito.