Fuori la propaganda dalle istituzioni. I limiti del modello Lombardia

| Italia

Ci sono alcune cose davvero singolari in questa emergenza inedita. Una di queste è la conferenza stampa quotidiana di Regione Lombardia, indetta sempre pochi minuti prima di quella nazionale della protezione civile, che si trasforma, un giorno sì e l’altro pure, in un’occasione di polemica con il governo.
Una volta sono le mascherine, un’altra i presunti ritardi nelle chiusure, un’altra ancora l’accusa di essere stati lasciati soli.

Quando da nessun esponente del governo è mai uscita una parola di critica o di biasimo dell’operato lombardo, men che meno dal ministro Speranza. E quando ci sarebbe bisogno di spirito di collaborazione, di un forte raccordo interistituzionale, affinché l’articolazione della sanità, tra competenze nazionali e regionali, dia il meglio e non il peggio.

Stupisce, poi, che in queste conferenze ci si lasci andare a informazioni assolutamente infondate: dall’affermazione che la Regione non avrebbe poteri di ordinanza, salvo poi emetterle; al numero di dispositivi forniti (meno di 2 milioni secondo Caparini, più di 9 milioni dal sito protezione civile); al disconoscimento palese del grande supporto che lo stato sta dando a tutte le regioni in termini normativi, in termini di personale, in termini di dispositivi, in termini di supporto della sanità militare. Per non dire del decisivo supporto ricevuto dalle altre regioni e anche dagli stati europei nell’accogliere pazienti lombardi. Anch’esso oscurato.

Non penso che in una situazione di emergenza debba essere sospeso il diritto di critica (Orban non abita qui, nella testa di qualcuno si, purtroppo), ma penso che esso non possa essere assunto come una funzione precipua di un’istituzione.

Durante un’emergenza le istituzioni lavorano insieme e non si scambiano accuse.

Così si favorisce la coesione di una comunità che deve affrontare uno tsunami, senza essere sottoposta ad aggiuntivi stress quotidiani.

Se il centrodestra lombardo ha critiche da rivolgere al governo lo faccia per il tramite dei partiti e salvaguardi le istituzioni. Che sono un campo neutro, non avamposti del campo di battaglia. Difficile, avendo un capo nazionale che non conosce l’ABC istituzionale.

Va da sé che, a parti invertite, i partiti di centrosinistra hanno il loro diritto di critica. Per parte mia, le difficoltà palesi della Lombardia, anche in rapporto ad altre regioni, non solo di centrosinistra, sono tutte da rincondurre alla centralità quasi assoluta assunta dalla ospedalizzazione nel suo sistema sanitario e alla marginalità quasi assoluta della prevenzione e della medicina di territorio.

E da qui è derivata la pochezza dell’assistenza a domicilio, che poteva e può essere un’arma potente per garantire un supporto alle famiglie, individuare precocemente gli aggravamenti e così via. E non è forse un caso che, allorché si è imboccata, con ritardo, questa via, la pressione sugli ospedali si sia ridotta, in concomitanza anche con il contenimento dell’infezione. Senza sottacere il pressapochismo dimostrato con la recente ordinanza, che obbliga all’uso di mascherine senza avere un piano adeguato di distribuzione delle stesse.

E, cosa ancora più grave e davvero inquietante, tutta la gestione dei rapporti con le RSA, dove si sono lasciati propagare focolai di infezione. Arrivando alla follia di invitarle ad estendere la propria capacità ricettiva, per accogliere i dimessi Covid 19 dagli ospedali nella fase post acuta. Ancora oggi queste strutture sono abbandonate a se stesse, come se ci si fosse rassegnati ad una loro destinazione a moderni lazzaretti.

In conclusione, a parere mio, questa grave prova a cui come lombardi e bresciani siamo sottoposti costituisce una sfida per superare, velocemente, un sistema sanitario che ha denunciato limiti di fondo, riconducibili ad una filosofia figlia, nella migliore delle ipotesi, di un passato che si ostina a non passare.

Paolo Pagani

Segretario Provinciale Articolo Uno Brescia