Facciamo il partito di Liberi e Uguali. E per ora balliamo da soli

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Ci siamo! Sabato Liberi e Uguali dovrebbe finalmente vedere la luce, dando forma e corpo a un partito di sinistra che sappia raccogliere le prossime inevitabili sfide che verranno dal quotidiano, nonché fare una dura opposizione al neo nato governo leghista-pentastellato. Un lavoro mica da poco. Infervora, a livello locale e nazionale, il dibattito su quella che dovrà essere la nostra collocazione. Con chi allearsi, a chi guardare. Io credo che la sola posizione possibile, almeno oggi, sia da soli, a sinistra.

Non è un mistero che gran parte dell’elettorato si stia domandando se, dopo i recenti esiti elettorali, si guarderà nuovamente al Pd. A tal proposito mi chiedo quali siano le reali possibilità di instaurare un rapporto con un partito che è, a tutti gli effetti, ancora il partito di Renzi, cioè una nebulosa in via di autodistruzione, non più di sinistra (da tempo), ma nemmeno incamminato su una strada di riflessione e revisione della sua natura. Là dentro, al Nazareno, non si stanno ponendo la questione del ‘dove abbiamo sbagliato?’, quanto piuttosto si accapigliano su chi sarà la prossima vittima sacrificale di Renzi. Questo deve essere ben chiaro: se tendessimo la mano, di là non troveremmo un gruppo che sta riprendendo confidenza con le parole di sinistra. No, per niente. La dentro c’è ancora il renzismo, imbrigliato nella sua logora ripetizione, ma vivo e pulsante. Mi si dirà: ma all’assemblea del Pd, Renzi non ha parlato. Sì, vero. Ma c’era il renzismo, un canovaccio la cui cifra più genuina consiste nel non farsi trovare dopo la sconfitta, pur restando dietro le quinte congelando lo spettacolo. ‘Me ne vado a sciare’, pare abbia detto l’uomo di Rignano dopo la sberla del 4 Marzo, frase che riassume al meglio la fuggevole e irresponsabile natura di questo movimento. ‘Me ne vado a sciare’ (ma resto e vi tengo in ostaggio) è il motto che ne condensa e riassume l’essenza, fatta di una ripetitiva e monotona coazione a ripetere che consiste nel chiamarsi fuori dopo aver condotto la nave sugli scogli, addossando ad altri le proprie responsabilità evidenti, per poi tornare in campo quando qualcuno si è occupato di togliere i detriti e pagare i danni. E noi dovremmo farci trovare in quei paraggi? Possiamo noi guardare a un partito che dopo il 4 dicembre è stato sopraffatto da pulsioni distruttive e mortifere, dirette verso i propri componenti riottosi e successivamente verso l’esterno? ‘Ma mi faccia il piacere’, diceva De Curtis.

Non credete ai ripensamenti. Ai bagni di umiltà. Non immaginatevi un gruppo dirigente in profonda riflessione che sta elucubrando nottetempo sui motivi della sconfitta, impegnato a capire dove abbia smarrito la bussola del lavoro, dei diritti. Le grida sgangherate che vengono dal Nazareno non sono quelle di Kruscev che batte la scarpa sugli scranni delle Nazioni Unite. Nemmeno quelle di Churchill che alza la voce promettendo le sue celebri ‘lacrime e sangue’. No, nulla di tutto ciò. Quello è il rumore del renzismo nella sua più limpida essenza: prepotente sguaiatezza, irresponsabilità, delocalizzazione delle colpe, allergia alla critica e livore. Con chi ci dovremmo dunque rapportare? La scuola di Rignano non ha prodotto una classe politica di rango, né tantomeno lo ha fatto la scuola politica Pasolini. Queste hanno invece creato e schierato uomini e donne che si sono tramutati in collettori di rancori, capibanda che stanno regolando i loro conti. Possiamo ritenere compagni di viaggio coloro i quali fondano il loro agire politico sulla convinzione che un privilegio possa diventare diritto semplicemente attraverso le grida e l’imposizione?

Penso di no. Il renzismo non è finito, e noi ne dobbiamo ben stare lontani. Non credete alle dimissioni, anche se verranno presentate. Egli si ‘dimetterà’, cioè si metterà a lato, e lascerà a qualcuno il compito di spalare lo sterco e la polvere. Quando questo qualcuno avrà stabilizzato la situazione che lui ha mandato in malora, Renzi tornerà, in sordina, alle sue terga, e riprenderà il fitto lavoro di inciuci e trame con i suoi sodali e fedelissimi fatti arrivare in parlamento, per farlo nuovamente secco, e riprendersi quel posto dal quale tentare di nuovo di essere amato dall’altro. E’ guapperia, e ce l’hanno spacciata per politica. Fino che questo è il copione, noi abbiamo l’obbligo di ballare da soli.

Maurizio Montanari

Psicoanalista. Responsabile del centro di psicoanalisi applicata LiberaParola di Modena (www.liberaparola.eu). Membro Eurofederazione di psicoanalisi