La pandemia globale Covid19 ha letteralmente e improvvisamente costretto il mondo intero ad entrare – o a “rinchiudersi” – definitivamente nella nuova rivoluzione industriale: quella digitale.
Mentre tra i più pessimisti e catastrofisti si fa a gara per affermare con spazientita sicumera come il mondo intero non sarà mai più lo stesso in tutto, pur non iscrivendoci a tale massimalismo da fine del mondo di certo, osservando il nostro Paese, non può sfuggirci come molto sia per sempre cambiato in settimane, se non giorni o addirittura appena ore.
Se prima dalla crisi epidemiologica lo smart working era una soluzione ancora di nicchia, largamente inedita e inutilizzata nel nostro Paese, con un totale di lavoratori da casa a quota 570mila sull’intero territorio nazionale nelle settimane subito antecedenti lo scoppiare dell’epidemia, oggi non solo PMI che prima non avevano mai neanche pensato ad adottare questo strumento vi hanno fatto ricorso in corsa, giocoforza e in tutta fretta, ma addirittura le aziende maggiori di comparti del tutto strategici come il massimo operatore di energia (ENEL) e telefonia (Wind Tre) d’Italia e via via a scendere percorrendo tutta l’Italia produttiva piccola e grande, multinazionale e a conduzione familiare, hanno lasciato a casa – in senso buono – interi rami d’azienda, per la tutela tanto della salute quanto della continuità del lavoro stesso dei lavoratori e della produttività aziendale.
Nel mentre, i software di videoconferenza, grazie alla banda larga, ci consentono di tenerci in contatto con colleghi, amici, parenti, genitori, figli e in certi casi anche coniugi lontani. Continuando a guardarci in faccia, certo a distanza ma a distanza di click, altresì, e in HD.
Chi crede, può continuare a coltivare la propria confessione connettendosi, nel caso cattolico, a Francesco in streaming: è conforto non da poco, questo contatto senza contatto, per chi è rimasto solo a casa senza poter confessarsi e conciliarsi col proprio dio in chiesa.
Anche noi responsabili nazionali dei dipartimenti di Articolo Uno, ci stiamo riunendo assieme ai nostri rappresentanti in Parlamento e al Governo, in questi giorni, grazie una piattaforma di videoconferenza.
L’in tutti gli ambiti e modi necessaria, indifferibile eppure per decenni differita posa delle autostrade digitali in fibra ottica, ha visto finalmente un’accelerazione nell’articolo 82 del Decreto “Cura Italia” in rapida risposta alla crisi. Contemporaneamente, gli italiani danno l’assalto a nuove attivazioni Internet da casa a un ritmo mai visto dai contratti a 56k mentre nell’attesa dell’attivazione fanno fronte alla “fame di giga” (il traffico generale in Rete è cresciuto dal 70 al 90%, con picchi anche e ben più alti) e di altri servizi digitali al di là della connessione stessa grazie alle previsioni della solidarietà digitale, una delle buone idee e pratiche del Ministero dell’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione la cui istituzione, con la nascita del Governo Conte II, non poteva vedere la luce in un momento se non felice, di certo opportuno e che noi, col nostro dipartimento nazionale Innovazione, democrazia digitale & nuove tecnologie intendiamo continuare ad accompagnare propositivamente e proattivamente.
Anche il mondo dell’audiovisivo e delle produzioni culturali, dovendo far di necessità virtù sta cominciando a spostare alcune uscite direttamente sulle piattaforme streaming come Netflix, Amazon Prime Video e le altre.
Nel mentre, per evitare le code chilometriche per tutto il Bel Paese, una bella coda si è formata nei supermercati online, ove è consentito il fare la spesa in Rete, spesa che a milioni hanno fatto per la prima volta in questa modalità dopo l’esplodere della crisi.
Da tutto questo non si tornerà indietro né domani né dopodomani, dunque tutto ciò va regolamentato oggi.
Come Articolo Uno abbiamo diffuso il mese scorso, proprio all’alba dell’esplodere della crisi, il nostro esteso Manifesto dell’innovazione digitale necessaria all’Italia, dove già fissavamo numerosi e precisi punti che ponevano una pietra a nostro avviso fondamentale su cui costruire ogni impianto di digitalizzazione del Paese e poi del Continente.
In esso, e torna di prepotente attualità e vitale importanza oggi, concedevamo spazio alla bontà dello sforzo della nuova Commissione Europea a guida von der Leyen, dove presentava il 19 febbraio scorso a Bruxelles le linee-guida per il digitale del prossimo futuro: secondo il piano, I sistemi di intelligenza artificiale ad alto rischio, come il riconoscimento facciale, dovranno essere “trasparenti, tracciabili e garantire il controllo umano” in settori ‘sensibili’ come salute, polizia e trasporti, sottolineando come per via dei rischi in ballo sia essenziale “costruire fiducia” nella popolazione con nuove e chiare regole. Di più: l’uso del riconoscimento è a priori, prudenzialmente generalmente proibito.
È questo un punto di partenza davvero cruciale e salvifico da cui partire per approcciare con lucidità, e sempre a beneficio di salute e sicurezza pubblica, ogni nuova implicazione e sfida postaci innanzi come cittadini, come partito, come Governo, come Paese, come UE.
Ulteriori player importanti con cui confrontarsi attorno al digitale, ineludibilmente, sono i cosiddetti GAFA: Google, Amazon, Facebook e Apple.
Il primo e l’ultimo in ordine di apparizione hanno suscitato grande e giusto clamore annunciando per la prima volta una storica collaborazione e far fronte comune contro il coronavirus, realizzando non necessariamente una vera e propria app, quanto una tecnologia di monitoraggio e tracciamento dati per scongiurare l’aumento della diffusione dell’epidemia.
Che questa collaborazione abbia ottenuto un benestare e sostanziale via libera da Chris Boos, numero uno del Pan-European Privacy Preserving Proximity Tracing (PEPP-PT) group, rasserena. Ciò non vuol dire tuttavia abbassare la guardia, a beneficio innanzitutto del pubblico ma altresì dei privati stessi in oggetto e in ballo.
Uno dei punti da subito in discussione, e davvero un punto cruciale, è se i dati debbano essere conservati in maniera centralizzata o su dei server centralizzati. A monte di ciò, come forza politica popolare e di sinistra ci pare naturale, come già abbiamo fissato nel nostro Manifesto, che ad esser tutelate siano innanzitutto le persone, e in tal senso una pre-condizione non può che essere che i dati sensibili raccolti a beneficio della salute dei cittadini, non vengano in alcun modo, in nessun momento e per alcun motivo, anche successivamente alla crisi sanitaria, conservati né tantomeno utilizzati per profitto privato.
La raccolta dati deve avere finalità epidemiologiche, essere utilizzata su base volontaria (e ad autorizzazione revocabile), essere progettata nel rispetto della privacy, deve garantire l’anonimato degli utenti e di nuovo la sicurezza dei loro dati, infine il suo codice sorgente deve essere liberamente disponibile. Una common source non può essere closed-source, per definizione.
Il servizio reso è squisitamente, salvificamente pubblico dunque deve essere esercitato, guidato, controllato dal pubblico. Tanto più che l’esercizio delle summenzionate funzioni, come il tracciamento, produrrebbe una mole di dati sensibili straordinaria che per nessun motivo potrà essere di accesso privilegiato, privatistico di gruppi privati, magari per esser venduta dalle Big Four a Big Pharma. Non vuol questa essere demagogia spicciola, ma democrazia rigorosa: come scritto il tutto è a tutela, in ultima istanza, anche dei soggetti stessi cui va dato non solo il beneficio del dubbio, ma un plauso propositivo per l’essersi voluti mettere a disposizione mettendosi ineditamente a fattor comune per il comune bene. Il consenso – altro punto cruciale da chiarire – delle persone dovrà essere realmente, efficacemente informato; anche ai tempi dello scandalo di Cambridge Analytica, dove i dati delle persone vennero venduti a questa (per distorcere la democrazia, venendo usati nella campagna elettorale di Trump e in quella dei brexiteer), tale vendita avvenne in seguito a un consenso concesso dalle persone stesse per via di disclaimer a misura più di Cambridge, in tutti i sensi, che di cittadinanza. Inoltre, tale consenso non si poté revocare: ormai i buoi, cioè i dati, erano scappati ed erano stati sgozzati, munti, rivenduti più e più volte al migliore (peggiore) offerente. Non è utile demonizzare nessuno, ma diabolico sarebbe perseverare, dunque gli errori di ieri debbono essere inibiti oggi, tantopiù che in gioco è un bene persino più prezioso della democrazia: la vita stessa.
Non intendiamo però come detto non salutare con favore segnali incoraggianti dati da GAFA e fratelli minori, che in queste settimane hanno messo con solerzia a disposizione le loro piattaforme, di concerto col Ministero della Salute che sul tema è stato attento e attivo – cosa di cui siamo per nostra parte, consentiamocelo, orgogliosi – per veicolare i flussi informatici e informativi verso i canali ufficiali del Governo in tema di coronavirus, indirizzando più agevolmente i cittadini verso le pagine Facebook e Twitter ministeriali, o indicizzando in maniera speciale e del tutto prioritaria le ricerche effettuate su Google – che ha con noi costruttivamente collaborato in più versi in questa fase – e YouTube sempre ben lontane dalle fake news, anch’essa una distanza di sicurezza importante. Un canale Telegram aperto una manciata di ore fa ha al momento di scriver questo mio pezzo 376.700 iscritti, e al momento che lo leggerete saranno ancor incredibilmente di più.
Oltre a tutto ciò, e a quanto insomma possiamo fare come Italia tra buoni esempi (Ministero della Salute), buone pratiche (Ministero dell’Innovazione) e pessimi scivoloni (il Presidente dell’INPS che impura i malfunzionamenti della piattaforma a un attacco hacker in realtà mai avvenuto, cosa per la quale in trasparenza se non un passo indietro dovrebbe quantomeno delle scuse o come minimo dei chiarimenti), come Governo abbiamo appena preannunciato una novità importante.
Il menzionato Ministero per l’Innovazione tecnologica si è da subito messo al lavoro per elaborare delle risposte e soluzioni declinate al digitale alla crisi, da ultimo approntando Immuni, app di monitoraggio e contrasto al contagio realizzata dalla agile software house italiana all’avanguardia Bending Spoons, che offrirà il suo servizio per “spirito di solidarietà” e “al solo scopo di fornire un proprio contributo volontario e personale, utile a fronteggiare l’emergenza da Covid-19”, come può leggersi nelle considerazioni allegate al documento di presentazione. Trattasi di un’azienda leader nel suo settore, primo nome nella lista selezionata dall’importante ed evidentemente sul pezzo task force incaricata dal ministro dell’Innovazione, Paola Pisano.
Per il tracciamento Immuni si baserà sulla tecnologia Bluetooth, consentendo a un dispositivo di riconoscere quelli in prossimità coi quali s’è trovato a condividere un medesimo campo d’azione, tenendone traccia sul dispositivo stesso. Soltanto nel caso in cui un cittadino dovesse risultare positivo ai test, le informazioni raccolte dall’app verranno condivise con il personale sanitario per poter prendere le misure necessarie a tutela della salute del possessore del dispositivo e della sua comunità di prossimità. L’app non integrerà alcun meccanismo di tracciamento della posizione (come ad esempio GPS), così da rispettare appieno quanto indicato dal Garante europeo per la privacy e dal Consiglio che riunisce i garanti dei paesi membri (Edpb). Insomma, nessun rischio Grande Fratello o paura grande complotto.
Ed è degno di nota e a priori di fiducia che in Italia, così come già lodati dall’OMS per le risposte più immediate alla crisi, dalla parte e nel rispetto della privacy delle persone (Immuni, peraltro, sarà a libera scelta d’uso) possiamo pensare e progettare soluzioni per la salute che siano all’avanguardia nel campo dell’innovazione, e in tal senso la direzione assunta come Governo è quella giusta.
Anche dal punto di vista dell’innovazione digitale, dunque, possiamo ben proseguire a provare a porci in testa a un discorso non solo italiano ma potenzialmente europeo, potendo essere tanto più efficace quanto più esteso il demandare a una dimensione di interoperabilità, tutela e gestione europea un sistema applicativo come questo presentato in Italia, primo Governo dei 27 a proporre qualcosa di simile. Se han deciso persino Apple e Google, acerrimi competitor, di coelaborare e parlare un linguaggio comune, possono e devono ben farlo Italia e Francia, Finlandia e Portogallo: in questo caso l’unione può fare davvero la forza, oltre alla sicurezza, oltreché salvare la vita.
Come Governo continuiamo a lavorare in questo solco di innovazione, avanguardia, pensando una volta tanto che sì, proprio l’Italia – Paese di innovatori, da sempre – possa ben dare il buono e salvifico esempio, darci dentro in luogo di darsi addosso.
Come partito restiamo puntualmente sul pezzo, sempre dalla parte delle persone, proponendo anche ulteriori soluzioni atte ad abbattere il divario digitale come quella di tablet gratuiti per le famiglie a basso reddito (in Italia, una famiglia su tre non ha PC né tablet, al sud addirittura quattro su dieci) Internet gratis a studenti e insegnanti fino a fine crisi; come Governo abbiamo accolto con piacere le dichiarazioni del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nel solco di quanto già da noi proposto; per il Paese e anche qui come soggetto politico chiediamo un cambio di paradigma: dal vecchio leitmotiv “cari italiani, ce lo chiede l’Europa” a un “cara Europa, sono gli italiani, e tutti gli europei, a chiedertelo”: sii non solo più solidale coi nostri danari, ma sicura con i nostri dati, ascoltando qualche buon consiglio, e buona pratica, per non dare il cattivo esempio, peccato mortale.
L’Italia è stato il primo e più duramente colpito Paese europeo dal coronavirus, l’innovazione può essere e sta già essendo, senza aspettare un momento, la più pronta e più preziosa risposta alla crisi. Articolo Uno era già attiva da settimane e mesi su tutto questo ed ora, siate fieri e certi al riguardo, continuerà a non fermarsi un minuto o un secondo, coelaborando futuro per non lasciare indietro nessuno.