Dopo il Coronavirus: e se provassimo a ripartire salvando il pianeta?

| Ambiente

Un agente patogeno – 10.000 volte più piccolo del diametro di un capello umano -, in questi giorni di pandemia da Coronavirus rappresenta in modo globale il capolinea del capitalismo a tutto turbo e niente regole; evidenzia, in modo tangibile, tutti i limiti e le storture di un liberismo e di un modello produttivo basato sulla rapace linearità del prendere-lavorare-usare-buttare. In molte immagini vediamo come la natura si sta riprendendo quegli spazi che le erano stati sottratti dall’uomo. Nella iper velocità che caratterizzava i nostri giorni, in molti non avevano – o non avevano voluto – comprendere che è proprio la Terra a permettere la nostra esistenza e che collaborando in sinergia con lei è possibile rigenerare il nostro modello di sviluppo.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) già all’inizio degli anni ’90 aveva avvertito che i cambiamenti climatici possono avere effetti negativi sulla trasmissione di malattie infettive. Il riscaldamento della Terra, infatti, favorisce la colonizzazione di nuove aree (dove prima era impensabile) da parte di agenti patogeni. Inoltre, oggi, gli esperti ci dicono che l’aumento di un grado della temperatura media può modificare il comportamento dei virus, e avere ulteriori effetti sulla modalità di diffusione delle epidemie.

Gli ecosistemi, se non vengono alterati dall’azione dell’uomo, possono rappresentare una efficace ed efficiente difesa dalle malattie conservando i processi naturali e abbassando il rischio del salto di specie (spillover). L’insieme delle attività antropiche che segnano duramente l’ambiente, dalla deforestazione all’acidificazione degli oceani, dal consumo di suolo al mancato riciclo dei rifiuti, a tutte le azioni climalteranti, giocano, infatti, un ruolo globalmente interconnesso che ha ricadute pesanti sulla salute di tutti indistintamente.

Il blocco delle attività industriali e degli spostamenti aerei, imposto dall’emergenza Coronavirus, ha caratterizzato, in tutta la sua durezza, un miglioramento della qualità dell’aria e una forte riduzione delle emissioni di gas serra. Questo rappresenta quasi una riprova di quanto il modello di produzione e gli stili di vita precedenti riversavano i loro effetti negativi nel pianeta.

È evidente a tutti che non si può restare in blocco all’infinito, quindi questo momento deve essere sfruttato per gettare le basi di un cambiamento culturale consapevole e condiviso. Insieme, come in un modello di progettazione (ed elaborazione) quasi open-source, possiamo prendere costruttiva consapevolezza per un futuro migliore basato su un modello differente della struttura economica e della nostra società. Le forme di cooperazione e solidarietà che si stanno sviluppando in questo periodo, ad ogni livello, ne sono un esempio concreto. È possibile riprogettare gradualmente, insieme, le nostre economie mettendo al centro i reali bisogni delle persone e non il mero profitto.

Anche le nostre città possono scendere in campo sulla fascia per la mitigazione dei cambiamenti climatici: con edifici che catturano la CO2, purificando l’aria, che filtrano le acque reflue e le trasformano in fertilizzanti; e possibile impiegare tipologie di asfalto che assorbono l’acqua dei temporali e la fanno affluire lentamente nelle falde; rendere il trasporto pubblico la modalità di spostamento più economica e veloce.

Ma c’è, infine, un blocco che dovrà proseguire (e se si vorrà procedere, bisognerà intraprendere la strada opposta) è quello dei tagli alla sanità pubblica, al welfare, alla ricerca, la precarizzazione del lavoro e la riduzione dei diritti alla salute delle lavoratrici e lavoratori, l’aumento delle diseguaglianze.

Fosco Taccini

Pensatore innovativo e lettore onnivoro (a volte con sottofondo rock), scrive per riflettere in profondità e con creatività. Adora immergersi nella natura e nella politica per osservare e comprendere con attenzione ogni dettaglio. Social, grafica. Responsabile Cultura di Articolo Uno Umbria.