Dare casa alle sardine: una priorità assoluta al tempo della Ricostruzione

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Giustamente si è parlato molto delle “sardine”, le migliaia di persone che hanno riempito all’inverosimile Piazza Maggiore a Bologna e Piazza Grande a Modena per dare una risposta al raduno della Lega di Salvini. Quella mobilitazione di massa ha reso evidente che sono tantissimi i cittadini che hanno voglia di partecipare, di dire la propria sul futuro dell’Italia e che non si accontentano di seguire i dibattiti sui talk show che una sera sì e l’altra pure propongono sempre le stesse persone che disquisiscono sui temi più disparati.
Come dare torto però a Pierluigi Bersani che, all’assemblea nazionale di Articolo Uno di sabato scorso a Roma, ha detto che quello che manca è il “contenitore”, è un partito ampio che sappia raccogliere e organizzare questa voglia di protagonismo?
Fenomeni come le “sardine” fanno comprendere quanto sia urgente e necessario mettersi al lavoro per ricostruire una grande casa della sinistra che sappia accogliere tutti coloro che hanno voglia di impegnarsi per un’Italia più giusta e che non li tratti da graditi ospiti, ma sia un luogo dove veramente si realizzi la partecipazione attiva, dove non si sia semplici spettatori.
E’ evidente che sarà un lavoro difficile, lungo, perché non si tratta solo di un fatto organizzativo, ma richiede uno sforzo di elaborazione che dia a questo luogo una chiara identità, una prospettiva, non potendosi limitare a qualche slogan sui problemi del momento.
In questo senso, l’assemblea nazionale del Pd convocata a Bologna domenica per approvare la riforma dello statuto del partito appare come un’occasione mancata per l’avvio di quel processo. In un paio d’ore si è fatto tutto e non sembra un gran risultato, enfatizzato da Repubblica, l’aver stabilito che il segretario del Pd non sarà più automaticamente il candidato premier: una rinuncia che ricorda tanto quella della volpe di Esopo.
Va in direzione contraria la riconferma dell’impianto leaderistico del partito, che viene addirittura rafforzato. Gli iscritti saranno chiamati a congresso per decidere la linea politica, ma poi non potranno intervenire nell’elezione del segretario se non come tutti gli altri cittadini, ai gazebo per le primarie. La legittimazione del segretario non poggerà quindi sulla volontà di chi milita nel partito, ma sarà esterna all’organizzazione, ed è evidente che ciò svuota ancor di più di significato l’essere un tesserato e, inoltre, premia la personalità più famosa, colui che ha avuto modo di andare spesso in tv e farsi conoscere, non già la linea politica che il singolo candidato porta avanti. Questa tendenza a favorire chi è già ai vertici dell’organizzazione viene rafforzata dall’innalzamento delle firme necessarie per presentare una candidatura (da 1.500 si è passati a 4.000), con l’obbligo che siano raccolte in almeno 12 regioni (prima erano cinque). Insomma, tutti meccanismi che sembrano dettati dalla preoccupazione di preservare gli attuali gruppi dirigenti, certo non ad allargarsi a nuove soggettività.
L’ossessione del leader eletto da uno, due, tre milioni di cittadini, è la tomba dell’idea di partito. La Costituzione afferma che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, e questo non ha nulla a che vedere con la scelta di un capo. E ciò denota anche la fragilità degli attuali gruppi dirigenti. Basti pensare ai grandi e carismatici leader politici del passato, da Togliatti e Berlinguer a De Gasperi e Moro, a Nenni e Craxi: non uno di loro è stato nominato con plebisciti, ma sono stati sempre frutto di una dialettica, spesso aspra, all’interno del partito che li esprimeva. Su tutto primeggiava la politica, mentre oggi sembra contare solo il marketing.
Articolo Uno da tempo sostiene la necessità di dar vita ad un grande processo di ricostruzione della sinistra italiana, e le “sardine” dimostrano che questa sarebbe la risposta che tanti italiani attendono per poter tornare all’impegno. Finora siamo stati come il bambino della favola di Andersen, che inutilmente diceva una verità che era sotto gli occhi di tutti, che il re era nudo. Si deve tuttavia insistere, con caparbietà, prima che i fatti si incarichino di darci ragione a suon di legnate elettorali.
Paolo Corallo

Siciliano, giornalista in pensione, 65 anni, militante da quando ne aveva 15, non ha rinnovato la tessera del Pd dopo la caduta del governo Letta