Zona flegrea, analisi del voto: imparare dagli errori. #ricominciodatre

#ricominciodatre

Documento redatto da Ettore Giampaolo – coordinatoe Zona flegrea MDP – sulla scorta della discussione svolta in due sedute fra i compagni MDP e Possibile che si sono attivamente impegnati nella campagna elettorale.

UN RISULTATO DELUDENTE  Liberi e Uguali ha subito una durissima sconfitta. Ha guadagnato meno consensi di quanti gliene accreditavano i sondaggi più pessimistici. Occorre riflettere a 360 gradi su questo esito deludente.

E’ stata sconfitta LeU ma è stata sconfitta la sinistra in tutte le sue sfumature, da quella estremista, a quella radicale e di governo, a quella che ha governato con scelte liberiste. E questa “sconfitta diffusa” è stata determinata anche dal fatto che il PD, con le sue scelte ed il suo dirsi di centro-sinistra, ha screditato non solo sé stesso, ma anche l’idea di sinistra.

Dunque, la crisi che investe la sinistra europea ha investito anche quella italiana, ma la sua sconfitta, e quella di LeU, hanno tratti “specificamente nazionali” e occorre investigarli con rigore.

Di contro, il M5S ha vinto, e ha vinto soprattutto nel “Sud disagiato”. Fra quelli che hanno avuto meno voti di M5S, la Lega prevale su Forza Italia e nel nord benestante. Due diverse realtà socioeconomiche e due partiti diversi per molti aspetti, ma uguali in un punto e vincenti: profilo nettissimo e agito in maniera intransigente.

UN PUNTO DI VISTA In quest’epoca caratterizzata dal predominio dell’immagine, bisogna partire da queste caratteristiche dei “vincitori”, non per adeguarvisi, ma per vedere cosa non ci ha reso credibili agli occhi degli elettori. Nel nostro insuccesso, però, oltre alle cause contingenti, d’immagine, s’intrecciano questioni di fondo. E, purtroppo, le une hanno inciso, sull’esito elettorale, non meno delle altre di cui, probabilmente, sono effetto. Perciò il nostro risultato negativo ci consegna seri problemi sia sulla conduzione dell’iniziativa politico-elettorale, sia sulla “logica politica” che abbiamo seguito. Partiamo dalle “cause contingenti”:

UNA SERIE DI FORMIDABILI INCONGRUENZE

*Siamo usciti dal PD con un ritardo grave anche perché migliaia di iscritti, abbandonando la tessera dal 2014, già segnalavano sia di non riconoscersi nel liberismo renziano, sia di non ritenere utile ed efficace l’opposizione interna al PD. Come non capire che l’essere restati nel PD delle scelte impopolari che non si è riusciti a bloccare ha caricato di una “corresponsabilità”, di una “ ambigua incomprensione” specie rispetto a chi aveva bocciato da subito la deriva liberista renziana?

*Si aggiunge al ritardo, il tempo sprecato all’inseguimento di un Pisapia di cui, dopo tre settimane, era chiara l’inadeguatezza.

*E nel poco tempo rimasto abbiamo cambiato continuamente simbolo passando dai Comitati del NO a conSENSO, a Sinistra Italiana, a MDP, a LeU. Come non capire che così diventava più difficile rendere riconoscibile, presso un elettorato non militante, una presenza già tardiva?

*Il “gruppo dirigente” prima di MDP e poi di LeU è formato, in larga parte, da un “pezzo” che esce dal PD e da uno che esce da S.I. dove sono stati sconfitti perché non sono riusciti a modificarne la linea . Come si fa a pensare che, presso un elettore normale e in quest’epoca di personalizzazione, il gruppo degli sconfitti si presenti come alternativa valida a chi li ha già battuti?

*In una fase di radicale contestazione dell’establishment, gli alfieri di LeU, sono di fatto, i presidenti di Camera e Senato, i rappresentanti istituzionali proprio dell’establishment contestato, mentre nostri autorevolissimi dirigenti provengono dalla cosiddetta “vecchia politica”. Oltre alla nostra “immagine, anche le nostre liste hanno risentito pesantemente di questa impostazione. Come non capire che, così facendo, ci presentavamo all’elettorato che voleva battere il sistema, proprio come un “pezzo” di quel sistema?     

*In una campagna elettorale in cui Salvini grida “via gli immigrati”, e su questo sfida  le critiche del Papa, e in cui Di Maio grida “onestà” e “reddito di cittadinanza”, resistendo alle critiche di tutti i media, noi non lanciamo una parola d’ordine che ci identifichi né stiamo con una nostra posizione forte sui temi in discussione: immigrazione e sostegno al reddito.

*In un clima in cui è sempre più evidente un’ostilità diffusa verso il PD, non affermiamo con intransigenza che la matrice della nostra battaglia è battere il liberismo renziano che ha sfregiato il PD e l’idea stessa di sinistra, ma pencoliamo fra critiche e ambigue aperture. Come non capire che con un simile atteggiamento non avremmo attratto nessuno di quelli che sul PD avevano maturato un giudizio tanto negativo da abbandonarlo e affidarsi perfino a Lega o M5S?

INCONGRUENZE CHE SI SAREBBERO POTUTE EVITARE

Eppure, gran parte di questi errori si sarebbe potuta evitare. Avevamo e uomini e idee per farlo.

Abbiamo giovani qualificati, che hanno lasciato promettenti carriere per non essere coinvolti in politiche sbagliate e impopolari; sarebbe bastato tenerli in primissima linea come competitor di “leader nuovi” assai meno credibili, come protagonisti di una rottura con vecchie logiche, come alfieri di una nuova politica appoggiati da dirigenti esperti e personalità autorevoli.

Avevamo e abbiamo un nucleo di politica nuova: dare lavoro risanando l’ambiente Italia. “Occupazione e vivibilità” che ci avrebbero consentito un confronto, sull’uso delle risorse, con flat tax e reddito di cittadinanza che hanno costi enormi, mentre la nostra proposta – che dà direttamente occupazione “vera – si realizza riallocando i fondi sprecati in bonus e sostegni alle imprese a cui, nel nostro disegno, verrebbero comunque offerte occasioni di lavoro. Un quadro, questo, che dà un senso diverso al ripristino dell’articolo 18, all’abolizione del job-act e della buona scuola sostenuti anche da molti altri.

Avevamo e abbiamo un’idea utile per fronteggiare, nell’immediato, l’emergenza immigrazione affidando a servizi sociali e carabinieri la certificazione, territorio per territorio, della “accoglibilità” degli immigrati che lavorano e sono rispettosi della legalità. Una modalità che avrebbe  consentito di contrastare chi sostiene un impraticabile “fuori tutti” contrapponendovi un più ragionevole: individuati rapidamente gli “accoglibili, si riduce il numero degli “indesiderabili” da rimpatriare e/o comunque da controllare.

Avevamo e abbiamo una base programmatica su cui fondare una rottura con le precedenti politiche e l’alternativa al PD che ha abbandonato un pensiero ed una pratica di sinistra. Dobbiamo dunque chiederci perché essa non abbia attratto tutti i consensi potenziali.          

LA RAGIONE DI UN ERRORE

Si può attribuire a insipienza, ad eccessi tattici e personalistici, ai “troppi vecchi”, l’aver mancato di cogliere sia le possibilità che avevamo sia i rischi che correvamo?

Bisogna francamente dire di no perché vecchi, tattici, personalisti, sono – nella quasi totalità dei casi – politici esperti e preparati, dunque in grado di cogliere possibilità e problemi.

Più probabilmente, invece, l’intero gruppo dirigente ha seguito “una logica” che ne ha deviato attenzione e operato.

Se guardiamo alla logica ispiratrice delle scelte che si sono poi rivelate le “cause contingenti” della sconfitta, vediamo che quella logica è consistita nell’avere, giustamente, grande attenzione, alla correttezza istituzionale delle nostre proposte, all’essere “attraenti”per un elettorato di “sinistra moderata”, alla dialettica fra i partiti e al nostro interno, alla compatibilità politica delle nostre posizioni e linguaggi. Non abbiamo avuto, invece, un’analoga attenzione per la rabbia che impregnava vasti strati sociali, per le ragioni di fondo che la determinavano, per le forme ed il linguaggio in cui si esprimeva. Cioè, – di fatto – abbiamo seguito una “logica politicistica” trascurando la “logica politica di rappresentare bisogni” in sintonia non solo con i problemi delle persone, ma anche con il modo in cui “sentivano” le cause del proprio malessere.

UNO SCARTO AMPIO CON LA SENSIBILITA’ POPOLARE

Abbiamo posto al centro delle nostre proposte il lavoro, la povertà, la scarsa vivibilità per insufficienza di servizi. E le statistiche dicono che sono proprio questi i problemi di buona parte dei cittadini.  Ma come vengono vissuti questi problemi? Un cittadino che quasi ogni sera ascolta, da un telegiornale, di un imprenditore che ruba, di un evasore che ruba, di un corruttore che ruba, di un politico che ruba, capisce che lavoro, servizi, benessere gli mancano perché gli vengono rubati. E, a questo cittadino che si sente derubato, viene detto che, per la scarsità di risorse pubbliche, deve fare sacrifici e perdere diritti mentre viene a sapere che lui è derubato e sacrificato, ma  la ricchezza nazionale cresce… raddoppiando quella delle 10 famiglie più ricche d’Italia.

Vi sono tutte le ragioni “dell’ira” dietro il “disagio sociale” della disoccupazione, della miseria, della invivibilità. E “un’ira” fondata poiché 134 miliardi/anno di redditi e 100 miliardi/anno di introiti criminali vengono sottratti al fisco, cioè “ingrassano” alcuni rubando risorse alla spesa pubblica  in lavoro, servizi, lotta alla povertà.

Ma “l’ira” diventa “furore” quando, a questo cittadino derubato, sacrificato e immiserito, buona parte della politica vuol far credere che farà per lui quello che non ha fatto nelle precedenti esperienze di governo e quando un centrosinistra al governo spiega, a questo stesso cittadino, che vive un disagio contraddetto dalle statistiche sul PIL e sulla ripresa produttiva e occupazionale… mentre il figlio o il nipote è disoccupato o sfruttato attraverso lavoretti malpagati.

Un “furore” che vive come “nemico” i rappresentanti della “politica” rivelatasi una “nemica”, un “furore” che vuole abbattere prim’ancora di “cambiare”, che in questo tipo di linguaggio si riconosce, un furore che impregna Nord e Sud.

Noi non abbiamo fatto corrispondere a quel furore un ragionare appassionato e fermissimo, posizioni nette sui responsabili di quel malessere e sulle alternative credibili al disagio.

LA QUESTIONE ITALIANA

Essere derubati, sacrificati, ingannati, colpisce con la stessa intensità, anche se in modi diversi, sia i cittadini del Nord, che hanno una condizione migliore della media nazionale, sia i cittadini del Sud, che sono molto al di sotto di quella media.

La questione fiscale. Il furto di risorse che l’illegalità opera a danno del fisco grava sul “Nord benestante” con un carico fiscale che penalizza redditi e imprese corrette e sul Sud, già in difficoltà, con penuria di lavoro, servizi, reddito. Perciò lo stesso furore si rivolge, nel Nord, alla identitaria e intransigente Lega della tassa piatta, che riduce al 15% il peso della tassazione per tutti, e al Sud si rivolge all’identitario e intransigente M5s del reddito di cittadinanza che allevia le difficoltà e dà un minimo di autonomia.

Noi non abbiamo posto “la questione fiscale” con la nettezza della battaglia rigorosa contro chi “ruba” al popolo italiano e con la chiarezza di una proposta che penalizza duramente l’evasore e premia il contribuente fedele.

La questione immigrazione  Il cittadino derubato, sacrificato, ingannato  si “confronta”, inoltre, con una “moltitudine disperata”, “usata” per lavori accettati a qualsiasi condizione, che riducono, di fatto, qualità e quantità dell’occupazione offerta anche agli italiani e, in più, quella moltitudine pesa su servizi e sostegni insufficienti, “entra” nella naturale preoccupazione per “l’incontro con l’altro diverso” accresciuta da minoritarie, ma allarmanti, condotte criminali. Al cittadino che vive questa situazione si dice che “l’umanità dell’accoglienza” è una “fregatura” perpetrata dall’Europa che ha scaricato il problema sulla sola Italia. Si alimenta anche di questo, il furore che si esprime, in parte, nel “fuori lo straniero” della Lega che, su questa base, cresce notevolmente raccogliendo un italiano su sei, cioè una minoranza significativa, ma minoranza assoluta.

Anche a questo proposito non abbiamo agito con nettezza e passione la proposta che pure avevamo abbozzato al riguardo.                              

Dunque LeU, pur avendo inteso il “malessere sociale”, e di gran parte degli elettori di sinistra, pur avendo intuito il nucleo di politiche che avrebbero potuto rispondere a quel malessere ( lavoro, occupazione vera, vivibilità e diritti con investimenti per l’ambiente Italia) non ha colto né la forza del rancore che ribolliva, né la nettezza di linguaggio di cui si nutriva, né le “concause italiane” della più generale crisi della sinistra europea.

Cioè LeU non ha costruito quella “connessione sentimentale” con il popolo di sinistra. Connessione distrutta dall’operato PD non solo per effetto della crisi europea della sinistra.

La crisi della sinistra europea. La crisi economica ha comportato una riduzione della spesa pubblica attraverso cui la sinistra redistribuiva ricchezza e proteggeva i ceti deboli. Nasce anche da questa impossibilità una parte della crisi della sinistra aggravata da una globalizzazione dell’economia, che sposta le occasioni di lavoro verso le nuove economie, e dalla finanziarizzazione dell’economia che, spostando investimenti dalla produzione alle speculazioni, sposta la ricchezza verso “chi ha soldi da rischiare in speculazione”- gli “strati alti” della popolazione – creando e ampliando diseguaglianze che la sinistra non ha neppure fronteggiato.

Dunque a questa “situazione generale”, in Italia, si sono sommati sia il discredito “dell’idea di sinistra” provocato dal PD, sia  il  problema dell’immigrazione, sia una questione fiscale che, oltre a provocare un formidabile danno economico,  fa perdere credibilità allo Stato, corrompe lo spirito pubblico, fa sentire “stupidi” e derubati i “contribuenti fedeli”. Questo, insieme all’inganno politico-governativo, ha generato quel “furore” che non abbiamo colto e che ha portato al risultato elettorale complessivo.

A noi è mancato quell’essere e apparire l’alternativa secca e intransigente a un modo di fare politica e ai politicanti che lo hanno interpretato e perpetrato.

IMPARARE DAGLI ERRORI E PROCEDERE

Gli errori fin qui analizzati hanno determinato  lo scadente risultato che ci riguarda ma che non nega la validità delle nostre  analisi ed intuizioni di fondo che, anzi, escono confermate sia dal complessivo risultato elettorale sia dalle analisi del voto che si svolgono  negli altri partiti.

La discussione nel PD ci dà ragione. Ora nel PD si afferma la necessità di una discussione vera e profonda sulle cause della sconfitta, la revisione delle politiche fin qui seguite e sonoramente bocciate, la necessità di un reinsediamento nei gruppi sociali e nei territori che sono il naturale riferimento di un partito di centrosinistra. Ciò che abbiamo chiesto per anni e che ci è stato negato fino a costringerci all’uscita

Non farsi ammaliare dal dibattito interno al PD. Ma il PD non potrà operare la revisione e la ristrutturazione di cui parla sia perché si affida ad un gruppo dirigente che ha pensato, agito, e difeso dalle critiche quelle scelte e quelle pratiche di cui il voto ha rivelato l’errore, sia perché  il PD riafferma una cultura  imperniata sulla centralità dell’impresa e non sulla centralità del lavoro.

Riprendere l’iniziativa di LeU. Partendo dalle nostre giuste intuizioni politiche e dagli insegnamenti che ci consegna il risultato elettorale, dobbiamo sviluppare l’esperienza di LeU e:

* esercitare subito e nettamente un ruolo politico e parlamentare su formazione del governo e scelta delle presidenze affermando sia la priorità di tenere la destra peggiore lontana dal governo, sia la priorità di affermare alcuni nostri punti programmatici (lavoro, sostegni ai redditi deboli, investimenti nell’ambiente Italia per creare occupazione e vivibilità, ripristino art. 18) nel consentire l’avvio di un governo M5S. Si incide, per questa via, anche nel dibattito e sulle scelte delle altre formazioni di centrosinistra alle quali occorre rapportarsi senza alcuna subalternità. E ci si colloca, con quest’apertura a M5,  sul versante dove, per gli elettori, vi è il nuovo e l’alternativa al vecchio modo di fare politica.

* realizzare alcune iniziative nazionali di forte impatto nelle quali chiarire, con assoluta nettezza, le scelte politico-programmatiche che ci identificano e che non abbiamo sufficientemente evidenziato nel corso della campagna elettorale;

* affidare, tramite assemblee territoriali che si esprimono su una rosa di nomi, la direzione e la gestione, della nuova fase di LeU, al gruppo di giovani dirigenti che abbiamo e che hanno esperienza e credibilità per le condotte tenute;

* costruire un vero insediamento sociale e territoriale con “nuclei” attivi nei luoghi dei lavori, dello studio, dell’impegno sociale e civile per costruire quei “terminali” che soli consentono di realizzare una vera “connessione”politica e sentimentale con il proprio “popolo di riferimento”.

* far nascere e crescere da qui, attraverso l’adozione di strumenti adeguati, la scelta e la gestione di decisioni programmatiche e di posizionamenti politici;

* attivare “uno strumento di collegamento fra nazionale e strutture territoriali” in cui far incontrare e dialogare “questioni generali” e riflessioni dai luoghi di lavoro e dalle città.