Diego Brignoli: così, nel profondo Nord, proviamo a riprenderci il futuro

#ricominciodatre

Settimane frizzanti. Quel che sta accadendo in ‘sto benedetto paese pare andar di pari passo con un clima che alterna ore di caldo estivo a temporali, tremendi acquazzoni, improvvisi cali della temperatura, allagamenti… Ho cercato, al mio solito, di seguire il più possibile le tribolate vicende politiche e partecipato alle iniziative messe in campo da Liberi e Uguali: riunioni territoriali e regionali e soprattutto l’iniziativa di Articolo UNO del 12 maggio e l’Assemblea di LeU del 26. Manco a dirlo a Roma, due viaggi in quindici giorni. I controllori del treno notturno non mi chiedono nemmeno più i documenti. Due riunioni intense, da cui sono emerse le difficoltà, le differenze, gli errori commessi. Anche rabbia e tensione, smarrimento. Inevitabili. Un dato ha contraddistinto le due riunioni: tutti, ma proprio tutti gli intervenuti, hanno esordito riconoscendo gli errori e scusandosi della propria parte di responsabilità. Uno su tutti: il presidente Grasso. Il suo intervento di apertura all’assemblea è apparso distante mille miglia dall’arroganza cui ci aveva abituato un certo modo di fare politica (“non ci hanno capiti”…) e ha elencato con elegante leggerezza le spine che hanno avvelenato questa stagione, dalle “rose (quelle delle candidature) appassite sul tavolo nazionale delle liste” al monito di un’aritmetica che non fa sconti “la metà di poco è pochissimo, un terzo di niente è niente”. A Roma ci sono andato pronto a dare un mio breve contributo alla discussione. Non ne ho avuto, come tanti altri, la possibilità. Lo riporto qui.

Buongiorno a tutti. Mi chiamo Diego Brignoli, vengo da Verbania, provincia del Verbano Cusio Ossola, Piemonte quasi Lombardia e quasi Svizzera, profondo nord. Per anni mi sono occupato di politica e di amministrazione della mia città. Sono stato candidato alla camera per LeU, uninominale secco, un gatto in autostrada. Faccio l’artigiano, il falegname. Tra due mesi raggiungerò i 41 anni di contributi e un mese dopo i 61 anni di età. Quota 102. Se non mi danno i due anni di arretrati mi rivolgo all’avvocato del popolo. Mi chiedono e mi chiedo: che ci faccio qui? Perché non sono da chi mi ha promesso la pensione, meno tasse e meno burocrazia? Perché sono convinto che il concetto “a me conviene e gli altri si arrangino”, l’individualismo, che fa rima con egoismo, non ci porterà da nessuna parte.

Eccomi qui allora. È dalla prima riunione al Frentani che frequento questi luoghi. Tra i primi ad aderire ad Articolo Uno. E credo che la strada sarà ancora lunga. Perché, ce lo diciamo, è cambiato il modo di pensare, sono cambiati i parametri, è cambiato il mondo. E questo mondo, quello che sta accadendo, non mi piace. Non ci piace. Non ci piacciono i modi: le vicende di questi giorni, di queste ore, suonano di arroganza e di spregio alle istituzioni. Non ci piacciono le proposte.

Conte e il suo (“suo” si fa per dire) governo sarà una meteora? Non lo so. Non credo. Pare che una buona parte dell’opinione pubblica sia favorevole, o per lo meno benevola nel “lasciamoli lavorare, vediamo cosa sanno fare”. E noi? Non credo che il nostro ruolo sia quello di stare sulla riva del fiume, o con il sacchetto di popcorn, ad aspettare di vedere come andrà a finire. Ci dobbiamo mettere al lavoro con calma, con pazienza, con passione e ricostruire una sinistra, o meglio un pensiero, un sentire, una cultura di sinistra; quel nuovo soggetto politico che abbiamo promesso a chi ci ha votato e ha creduto in noi.

Non sarà facile. Saremo accusati di essere il passato, i nostalgici, l’establishment, la casta. Sarà un lungo e accidentato percorso. Ma non possiamo declinare il nostro progetto misurando quanto distanti siamo dal Pd o quanto vicini a Conte o Salvini o Savona o ai Cinque Stelle. E nemmeno cancellando e rinnegando il nostro passato, il nostro vissuto. Riconoscere gli errori, riconoscere che alcune scelte di allora non sono più applicabili alla realtà di oggi non vuol dire abiurare tutto. Lotta alle disuguaglianze e alla precarietà, Europa, accoglienza, inclusione, lavoro, equità, ambiente… sono prospettive che vanno declinate nella realtà, nel concreto delle proposte.

Ma un nuovo soggetto politico non può nascere senza una cultura comune, un’identità, magari con diverse sfaccettature, punti di vista. Un partito non vuol dire solo cariche e organismi. Occorrono anche quelli, così come occorre una legittimazione, un mandato, una rappresentanza. Ma soprattutto occorre un confronto da cui emergano le linee programmatiche, il progetto, la visione. Non sarà un’Assemblea a risolvere tutto, così come non saranno le singole posizioni e gli accordi dei nostri dirigenti che pure ammiro per la dedizione e l’impegno. Servono entrambi. Ma non bastano. La nuova cultura politica nasce anche da quanto sapremo fare nei territori, da quali momenti di confronto saremo in grado di proporre, da quali riflessioni, da quanti ponti, da quanti legami sapremo costruire. Non tanto con questo o quel partito. Con la gente, con il mondo.

Noi lassù nel profondo nord ci stiamo provando. Facendo una fatica tremenda. Lo facciamo insieme, cercando di coinvolgere, allargare, interessare. Non so se ci riusciremo ma ci proviamo.

Davo per scontata, e non ero il solo, la nascita del governo Salvini-Di Maio (e Conte, dimenticavo). Ipotesi smentita l’indomani ma riconfermata pochi giorni dopo. Vedremo se e quanto durerà, vedremo cosa farà. Intanto però pensiamo a cosa fare noi, a come riprenderci il futuro, il nostro futuro. Sono passati tre mesi da quel 4 marzo. Inutile raccontarci ancora una volta che le elezioni non sono andate bene e che il misero “tre virgola” non era il nostro obiettivo. Inutile insistere con la flagellazione dei mea culpa, gli errori commessi, le difficoltà incontrate. Occorre (ri)partire dai dati di realtà: la fiducia di un milione e trecentomila elettori, l’impegno di tanti candidati e sostenitori, una realtà politica radicalmente mutata, una sorta di nuovo mondo col quale confrontarci e soprattutto l’impegno assunto durante la campagna elettorale: “comunque vada, dopo le elezioni il nostro impegno sarà quello di proseguire nella costruzione di un nuovo soggetto politico”.

Sarà complicato e faticoso. L’attività parlamentare dovrà essere ferma e rigorosa, dovrà distinguere bontà o meno delle proposte dalla massa informe dei proclami e della propaganda; dovrà saper (ri)mettere al centro il Parlamento. Tutti noi dovremo combattere il populismo senza cadere noi stessi nella sua trappola (lo ricordava Nadia Urbinati). Dobbiamo farlo soprattutto nelle nostre città mettendo a disposizione di tutti spazi e momenti di riflessione, occasioni di confronto, elementi di conoscenza. Qui, nel profondo nord, nel nostro piccolo, ci stiamo provando, proponendo e organizzando incontri. Lo abbiamo fatto con Antonio Panzeri, con Domenico Quirico, con Elly Schlein. Abbiamo parlato di Medio Oriente, di Islam, di immigrazione, di Africa, di Europa. Altri ospiti, altri appuntamenti seguiranno: sanità, welfare, economia, lavoro… politica. Il nostro contributo per creare una cultura. Non sappiamo se questa strada sarà foriera di futuri successi elettorali (staremo a vedere), certamente sarà utile. A tutti. E non è fare politica questo?