Melilla: lo strappo dei nuovi voucher, beffati lavoro e democrazia

Lavoro e Politica

Sui voucher si sono misurati vari strappi. Il primo è con le regole costituzionali e parlamentari.
Se vi è un referendum fissato e il Governo vuole impedire lo può fare superando il quesito.
In questo caso la furbata  è stata di aver abolito con un decreto i voucher per far saltare il referendum che dovevamo svolgere oggi, salvo poi a distanza di poche settimane inserire in un altro decreto sulla manovra economica una nuova normativa che nei fatti resuscita i voucher. Si viola così la volontà dei cittadini che hanno sottoscritto la richiesta di referendum abrogativo. Quando la Costituzione viene violata il Presidente della Repubblica ha il dovere, se interpellato, di garantire il rispetto della Costituzione. Così come la Corte Costituzionale se ci sarà un ricorso dovrà pronunciarsi.
Siamo in presenza di un classico conflitto tra il potere dei cittadini di svolgere un referendum costituzionale e il potere del Governo e del Parlamento di non poterlo impedire con un evidente colpo strumentale.
Vi è poi un secondo strappo che riguarda le regole parlamentari: l’emendamento del Pd sui voucher era inammissibile perché estraneo alla materia del decreto perché ordinamentale, e perché privo dei requisiti costituzionali di necessità e urgenza. Il Presidente della Commissione e gli uffici della Camera non dovevano ammetterlo, come hanno fatto con tanti altri analoghi emendamenti.
Il Governo poteva invece presentare una sua proposta, dopo averla confrontata con i proponenti il referendum e le parti sociali, con una iniziativa autonoma, nessuno nega che vi siano lavori occasionali come quelli delle famiglie da regolamentare. Pensiamo alle ripetizioni private, ai lavori nei giardini di casa, alle baby sitter occasionali, alle pulizie straordinarie. Altra cosa è estendere invece i nuovi voucher a tutte le aziende sino a cinque dipendenti, cioè alla maggioranza delle imprese italiane quando queste hanno vari altri strumenti contrattuali e di legge per ricorrere al lavoro a termine e a chiamata.
Il terzo strappo lo si fa alla strada maestra della concertazione tra Governo e parti sociali nel segno della negazione del ruolo dei corpi intermedi. Renzi in questa umiliazione del dialogo sociale assomiglia a Grillo e supera in peggio anche Berlusconi. Siamo in presenza di una variante della linea della rottamazione: in questo caso non delle persone, ma di un grande sindacato come la Cgil e della sua volontà di condizionare la politica con un referendum abrogativo su un tema come il mercato del lavoro e i diritti dei lavoratori in cui Berlusconi e il centrodestra  prima e Renzi poi, hanno scelto la via della precarizzazione del mercato del lavoro e della demolizione dei diritti contrattuali e di legge riconosciuti ai lavoratori.
Infine l’ultimo strappi è con la stabilità politica e sociale dell’Italia.
Renzi e il Pd sapevano benissimo che Articolo 1 non lo avrebbe seguito su questa strada antidemocratica, il Governo almeno al Senato corre il rischio di cadere, anche se il soccorso del centro destra non dovrebbe mancare. Ma a Renzi non spiace un incidente che chiarisca la necessità delle elezioni anticipate. Rimpiange troppo i tempi in cui era a Palazzo Chigi. Dei rischi per l’economia e la stabilità politica dell’Italia se ne preoccupa molto meno. E dunque l’orchestra del potere suona e Renzi gioca le sue partite in tutte le direzioni: mercato del lavoro, aggressione al sindacato, disprezzo per la Costituzione che non è riuscito a cambiare, legge elettorale a suo uso e consumo, liquidazione del centrosinistra, isolamento di Articolo 1 e della sinistra.
Ma non è detto che questo gioco gli riesca. Esistono ancora altri poteri che garantiscono la democrazia, vi è la mobilitazione dei lavoratori e dei cittadini, vi è soprattutto la forza della ragione e della libertà. E non dimentichiamo che l’Italia il 4 dicembre ha rifiutato la strada dell’avventura e ha scelto la Costituzione e i suoi delicati equilibri.