Brasilia dopo Washington: la crisi della democrazia e i nostri doveri

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La democrazia è un bene fragile. Che va custodito, alimentato e rinnovato perché non è destinato a durare per sempre. O assumiamo questo punto di vista drammatico e inedito oppure derubricheremo sempre insorgenze gravissime come quelle a cui abbiamo assistito ieri in Brasile come qualcosa di più che folclore, mentre esse si iscrivono nella natura profonda della nuova destra globale, nella sua irriducibile allergia al rito democratico e alle sue regole.

Ce lo dice Brasilia oggi, come Washington ce lo raccontava ieri. Le analogie impressionano: nessuno dei presidenti uscenti aveva accettato e riconosciuto il risultato e di conseguenza avevano lanciato alle loro aree militanti messaggi ambigui di mobilitazione eversiva contro i vincitori della competizione elettorale.

Appare evidente che i passaggi classici di qualsiasi democrazia liberale – il principio dell’alternanza tra offerte politiche opposte a ogni turno elettorale – non sono più così scontati o acquisiti. Le società si scoprono sempre più divise e fratturate: inquieta il dato raccontato nel penultimo numero di Limes, non a caso titolato “America?”, dove emerge il crollo dei matrimoni misti tra elettori repubblicani ed elettori democratici dal 30 al 3 per cento nel giro del quadriennio di Trump così come la crescita di quartieri monocolori. Non è una notizia di cronaca rosa, ma la spia di una nuova radicalizzazione politica di società dove stanno venendo meno – a cavallo tra la grande crisi, la pandemia e il ritorno della guerra – le fondamenta di una gamma di valori comuni della cittadinanza. Emerge invece una tendenza alla secessione tra identità diverse, tra origini sociali diverse, tra universi religiosi e culturali diversi: qui si inscrive anche il conflitto per l’egemonia lanciato dalle chiese pentecostali in tutto il continente americano, a sud come a nord, che hanno sposato a larga maggioranza il trumpismo e il bolsonarismo, armando un messaggio molto spesso millenaristico e antiscientifico.

Questo deposito di rabbia esplode a ogni processo democratico, che diventa esso stesso un’arma di fine mondo e mobilita forme di fanatismo estreme che ovviamente sono la punta dell’iceberg di un malessere crescente che mette in discussione il pluralismo politico e la stessa capacità delle società di resistere insieme ed assumere un principio di convivenza permanente.

E dunque la lotta politica diventa accenno di guerra civile strisciante, che può sboccare anche nel conflitto più estremo: l’assalto alle istituzioni, la cosa più novecentesca che esista, nonostante sia evidente che le centrali attraverso cui si orientano le scelte e si costruiscono le basi del consenso non risiedano più soltanto nei palazzi del potere.

Lula rappresenta indubbiamente l’unica personalità in grado di provare a tenere unito il Brasile, per quanto sia stato già vittima di un golpe giudiziario – orchestrato dalla destra estrema e da settori della grande concentrazione economica e finanziaria della borghesia compratore brasiliana – perché risultava insopportabile che un operaio metalmeccanico potesse diventare il leader di un paese di oltre 200 milioni di persone.

Il cammino sarà duro e ci vorrà una grande solidarietà internazionale, anche da un paese come l’Italia che ha un legame profondissimo con il Brasile, che affonda anche nella lunga storia di migrazione di tanti italiani verso il mondo nuovo all’alba del secolo scorso.

Giorgia Meloni ieri – ultimissima tra i leader occidentali – ha condannato le manifestazioni di Brasilia, senza citare mai – a differenza di Biden, Macron, Sanchez e tutti i leader sudamericani – il nome del Presidente legittimamente eletto. Sarà stata semplicemente una svista, ci auguriamo. Una cosa però può farla: non essere ambigua qualora Bolsonaro decida di riparare in Italia a seguito di una possibile inchiesta giudiziaria sulle le sommosse di queste ore di cui potrebbe essere ritenuto il mandante dalle autorità giudiziarie brasiliane.

Bolsonaro fu dichiarato dal Comune di Anguillara Veneta – di cui è originaria la sua famiglia – cittadino onorario, suggello formale del legame ancestrale tra la nuova destra brasiliana e quella italiana. Mi auguro che questo governo la revochi per eliminare ogni zona d’ombra dopo il golpe fallito di ieri a Brasilia.

Arturo Scotto

Nato a Torre del Greco il 15 maggio 1978, militante e dirigente della Sinistra giovanile e dei Ds dal 1992, non aderisce al Pd e partecipa alla costruzione di Sinistra democratica; eletto la prima volta alla Camera a 27 anni nel 2006 con l'Ulivo, ex capogruppo di Sel alla Camera, cofondatore di Articolo Uno di cui è coordinatore politico nazionale. Laureato in Scienze politiche, ha tre figli.