Baboucar e “quelli che vanno”: lo sguardo empatico di Giovanni Dozzini

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La prima cosa che salta agli occhi è lo sguardo empatico dell’autore. Giovanni Dozzini, in questo romanzo uscito per minimum fax, racconta una storia ordinaria di immigrazione nel nostro paese e lo fa cedendo il punto di vista a un gruppo di ragazzi africani, richiedenti asilo, di stanza a Perugia. La sua città ma ormai anche la loro, perché è lì che sono stati accolti ed è lì che studiano la nostra lingua.

A Perugia devono e vogliono fare ritorno dopo una breve gita al mare che in realtà di mare avrà molto poco, ma servirà a farli muovere, camminare, desiderare, prendere treni, aspettare i compagni nella sala d’aspetto di una stazione, incontrare gente e scoprire luoghi e situazioni.  

Con lo stupore di chi crede che Falconara Marittima sia un posto speciale perché il nome è fantastico e basterà raccontare d’esserci stato per fare breccia nel cuore della ragazza desiderata.  

È anche lo stupore che accompagna questo viaggio, l’incantamento di chi guarda e vede con occhi vergini paesaggi nuovi, che in realtà Dozzini conosce molto bene.

Questo intendo per empatia: provare a guardare con gli occhi di un altro quello che tu sei abituato a vedere. Provare a capire e soprattutto a spiegarti in una lingua diversa, in mezzo a gente che non riconosci, incuriosita, a volte, ma più spesso diffidente, sospettosa, prevenuta. Significa anche provare a sfangarla in quattro con un solo biglietto del treno, perché il mare e una giornata tra amici pesa di più, anche sul piatto della bilancia di chi scrive.  

Così con l’eccitazione per il mare c’è anche la paura di venire scoperti. A meno che non si sia davvero troppo “giovani per pensare che le cose possano andare male”. E allora poco importa, si va, dormicchiando o condividendo due pesche noci, e un po’ alla volta spariscono anche i monti dal finestrino del treno che va.

Va. C’è il tempo presente che fa da tappeto, anche sonoro, a questo romanzo. E Baboucar guidava la fila non è solo il titolo ma l’attacco di ogni capitolo perché ‘guidava’ è in realtà un presente che si incammina nel tempo per ricominciare ogni volta con un po’ più di memoria e uguale stupore.

In fila indiana, anche e soprattutto idealmente, Baboucar e i suoi amici – Yaya, Robert, Ousman e i due Mohamed, l’alto e il basso – sono un gruppo di ragazzi come tanti, cellulari in mano, scarpe di sottomarca, shopper di Umbria jazz. Poche parole e tanta strada da fare, per il mare ma ancor più per assicurarsi una vita normale. Quella che sognavano quando hanno lasciato l’Africa affrontando quel che sappiamo e che questo romanzo, che procede sostenuto a ritmo di marcia, non ci ripete. E benché la scelta del mare e del viaggio non suoni casuale, ha fatto bene Dozzini a non indugiare su traversate e traversie sorprendendoli invece in questa gitarella lieve e improvvisata, dove incontrano anche la parte migliore di noi, che malgrado tutto resiste, e ha volti differenti.

Quello di due ragazze, per esempio, che offrono loro uno strappo in macchina e poi li invitano a casa ad ascoltare Vasco Rossi ma anche quello del passeggero del treno che domanda a Yaya se in Mali c’è la guerra.

Già, la guerra. “I soldati sono africani – risponderà Yaya-Dozzini –  i generali sono africani. Ma la guerra non è degli africani. La guerra è degli europei e degli americani”.

Ecco, gli incontri pacifici a bordo di un treno permettono a chi scrive di imbastire un pensiero in filigrana senza per forza innescare il conflitto, che arriva, certo, ma solo alla fine, quando persino l’amicizia tra due di loro rischia di saltare di fronte alla finale Francia-Portogallo. Ma in campo non c’è il pallone né la tifoseria da stadio in un bar di paese: ci sono proprio due pensieri radicalmente diversi non sul calcio, non sulla Francia ma sul perché di certi attentati, sulle responsabilità dirette o indirette del terrorismo islamico. Uno sgomita sotto quello di Yaya, l’altro lo costringe a ritrattare.

La posta in gioco è alta e bisogna abbozzare. Per qualcuno poi pesa ancora di più, almeno quanto il diritto d’asilo. E in questo ‘di più’ sta la ragione del conflitto intestino che sembrerà far deflagrare il gruppo.  

Invece no. Nonostante tutto non sarà mai rottura. È tutto a posto. Si ricomincia. Gli tocca come tocca a tutti ‘quelli che vanno’ a cui il libro è dedicato. Andare, sempre, e non solo lasciarsi portare.

Alessandra Bernocco

Giornalista, laureata in filosofia, ama scrivere e cucinare. Da sempre appassionata di teatro, ha insegnato storia del teatro e collaborato come critico a vari periodici tra cui Europa, L’Unità.tv, Multiversi, Dramma e Oltrecultura. Ha pubblicato Suite Bohémien (Robin) e Bip. Il rumore del tempo sospeso (Dialoghi) Si sfoga sul suo blog, Verba manent.