Pedro Sànchez, primo ministro della Spagna, qualche giorno fa sul Corriere della Sera ha affermato che la scelta più saggia della sua carriera politica è stata quella di evitare la grande coalizione con il Ppe spagnolo. Il bacio della morte che avrebbe portato gli eredi di Felipe Gonzales a fare la fine del Pasok greco o di altre socialdemocrazie in giro per l’Europa. In minoranza nel suo partito, si è dimesso da segretario e da deputato, ha attraversato il paese con la sua automobile personale e ha riconquistato la maggioranza del Psoe. Lo ha riportato a sinistra e ha costruito un’alternativa credibile al centrodestra, passando addirittura per due tornate elettorali.
L’Italia non è la Spagna, certo. La sinistra plurale al governo a Madrid è abbondantemente sopra il 40 per cento e oggi, seppur di misura, ha i numeri per governare. Da noi ci sono stati passaggi della storia recente dove grandi coalizioni hanno governato. Non hanno quasi mai portato bene alla sinistra. Il punto finale fu messo da Bersani quando preferì non andare a Palazzo Chigi nel 2013 facendosi dare i voti necessari da Berlusconi. Fu un atto doloroso, ma utile a salvare un pezzo di patrimonio politico e culturale, successivamente dilapidato dai diversamente berlusconiani riuniti attorno alla corte di Matteo Renzi.
Oggi, dopo sette anni, si è riaperto un dibattito sull’inclusione di Berlusconi e Forza Italia nell’area di governo. Nel nome di una presunta continuità con la cosiddetta coalizione Ursula, che ha espresso alla presidenza della Commissione la Presidente Von Der Lyen. Penso sia una discussione molto giornalistica, poco piantata a terra, scarsamente consapevole dei rapporti di forza presenti nella società italiana. Tuttavia è in campo, appassiona commentatori e analisti politici, produce addirittura impensabili quanto tardive convergenze con l’avversario di sempre, Romano Prodi. È evidente che il Cavaliere non ha più il peso politico e istituzionale di qualche anno fa. Il suo partito si è progressivamente miniaturizzato, ridotto a junior partner della coalizione di destra sovranista guidata da Salvini e Meloni. Per recuperare margini di manovra politica, Berlusconi da mesi lavora sulle contraddizioni aperte tra lui e i suoi alleati. Una dinamica che anticipa la possibile svolta neo proporzionalista del sistema elettorale italiano. Berlusconi si mette dal lato della responsabilità, davanti alla macchina propagandistica dei suoi sodali, sempre più violenta ed eversiva. Anche davanti alla tragedia del Covid.
Lo ritengo in ogni caso un fatto politico da non sottovalutare, una novità con cui fare i conti. L’analisi differenziata dovrebbe tornare a essere materia di insegnamento per chi sceglie il mestiere della politica, così come la regola aurea di lavorare a dividere lo schieramento avversario. La Lega ha perso una straordinaria occasione per dimostrarsi una forza compiutamente nazionale quando in piena emergenza si è messa a cavalcare teorie scientificamente strampalate, a sabotare la trattativa complessa con l’eurozona per i recovery fund, a manovrare le proprie leve del governo territoriale per mettere in difficoltà l’esecutivo sul piano sanitario. Se c’era bisogno di una conferma, la pandemia ci ha raccontato quanto la bulimia comunicativa di Salvini lo renda profondamente inadatto a governare il paese.
Detto questo, io non credo che si possa immaginare nemmeno lontanamente di imbarcare Berlusconi in un rimpasto in vista di un fantomatico Conte Ter o addirittura in una maggioranza nuova di zecca che spacchi i grillini e sposti in senso moderato l’asse del paese. La domanda da porre a tutti è la seguente: si considera ancora valida la formula giallorossa? Pensiamo che questo esperimento, faticoso, difficile, sottoposto a continui stress test abbia esaurito la sua spinta propulsiva? Pensiamo che il fronte sociale e politico che lega il M5S al centrosinistra non rappresenti potenzialmente la maggioranza degli italiani? Una maggioranza che combatte la rendita, che investe nella legalità, che vuole estendere lo stato sociale, che scommette su un paese più giusto ed equo, su una politica rinnovata e onesta?
Non è questa la sede per un’analisi storica sul berlusconismo. Il giudizio mi pare implacabile: ha contribuito in maniera significativa allo spostamento in senso reazionario di questo paese e al declino della sua cultura democratica, spezzando legami di solidarietà e di rispetto tra territori, generazioni, oserei dire persino classi sociali. È stato un moltiplicatore di degrado morale e intellettuale che ha reso l’Italia più fragile e divisa, esponendola a un declassamento di sovranità di cui paghiamo tuttora le conseguenze. Leggere oggi – dalle colonne de La Stampa di Torino – Silvio Berlusconi invocare il rispetto della Costituzione da parte del Presidente Conte fa parte di quegli scherzi che la storia fa quando viene sostituita dalla cronaca minore. Va considerata poco di più che una concessione all’ipocrisia della politica, visto il pulpito da cui proviene. Il numero di leggi incostituzionali varate sotto il governo del centrodestra non ha precedenti, il tentativo di attentare alla divisione liberale dei poteri ha scatenato una guerra tra politica e magistratura che ancora oggi è dominante, lo sdoganamento storico del fascismo poi è stato una tratto permanente del suo ventennio, le cui conseguenze sono incalcolabili.
Non mi preoccupa tuttavia il Berlusconi di ieri, ma quello di oggi: alleato in tutte le competizioni regionali del prossimo settembre con la destra sovranista, promotore della Flat Tax che è il cavallo di battaglia di tutte le destre turboliberiste e autoritarie sparse per il pianeta, ancora una volta in prima fila per far approvare condoni di ogni ordine e grado, impegnato nel conservare gli oligopoli alla base della sua fortuna economica. Certo, sull’Europa non segue Salvini, non si mette sul crinale neo nazionalista, ma continua a militare nello stesso partito di Orban. Sull’immigrazione non usa gli accenti della Lega, ma non mi pare che abbia sostenuto misure alternative sulla Libia e Ong. Lo dico con grande franchezza, non capisco dove stia la svolta liberal-democratica in Forza Italia, se non nel fatto che, con l’incedere dell’età, Berlusconi è diventato più educato di Salvini. Ma le alleanze non si costruiscono sul galateo.
Mi pare invece di intravedere da parte del Cavaliere solo il terrore del voto anticipato e dell’assorbimento del suo elettorato residuo verso i nuovi mattatori della destra. Che sono a tutti gli effetti figli suoi legittimi. Tuttavia – insisto – il problema non è la conversione presunta di Berlusconi, ma l’immobilismo del campo alternativo alla destra. Una foresta pietrificata. Pensiamo che si debba finalmente passare dalla resistenza al progetto, dopo un anno di Governo Conte? Oppure riteniamo questa esperienza incapace di interpretare la fase nuova? Dobbiamo rapidamente rispondere a queste domande, altrimenti ci consumeranno le contraddizioni sempre più evidenti che emergono da un’alleanza nata soltanto per contrastare un’emergenza democratica. E che fatica a diventare una coalizione politica, a Roma come in periferia. Per queste ragioni il dibattito sull’antiberlusconismo mi appassiona poco. È roba da archeologi. Ritorna in vita solo per i vuoti lasciati da noi, da quelli che pensano che esista ancora una differenza radicale tra destra e sinistra. Le scorciatoie non servono a nessuno.