Antigone al Monginevro. La lezione di umanità di Benoit Ducos

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Fra la legge del sovrano (sia esso il satrapo dell’antichità, o il popolo democraticamente organizzato dell’Europa contemporanea) e la legge del cuore, a chi dobbiamo obbedire? Antigone (opera teatrale vecchia di oltre 2400 anni) continua a porsi e a porci questa domanda. Ogni giorno, ogni generazione, conosce le proprie Antigone.

L’ultima in ordine di tempo si è manifestata sotto le sembianze di un signore di mezza età, dal profilo montanaro e dalla carnagione cotta dal sole che si riverbera nella neve. Non si tratta dell’Ebreo Errante del Cervino, bensì di un uomo “denunciato dalla polizia per favoreggiamento dell’immigrazione” al confine fra il Monginevro e Briançon. A dirlo così quasi sembra che la condanna sia già scritta lungo le profonde rughe della guida alpina.

Eppure quest’uomo non solo non si pente di aver permesso a una donna di partorire in ospedale, ma sostiene che “soccorrere quella donna non è stata una scelta ma un dovere”. Sarebbe già pronto a rifarlo; non chiedetegli di comportarsi altrimenti perché lui non ha scelta. 

Da che parte sta allora la Giustizia? Da quella delle leggi dello Stato, la Francia, stato legittimo e democratico, occidentale e culla dell’Illuminismo, oppure da quella del futuro imputato?

Due considerazioni forse ci aiutano a rispondere.

La prima riguarda la legittimità del diritto. Citiamo in proposito Giovanni Paolo II: “Il «diritto» cessa di essere tale, [quando] non è più solidamente fondato sull’inviolabile dignità della persona, ma viene assoggettato alla volontà del più forte. In questo modo la democrazia, ad onta delle sue regole, cammina sulla strada di un sostanziale totalitarismo. Lo Stato non è più la «casa comune» dove tutti possono vivere secondo principi di uguaglianza sostanziale, ma si trasforma in Stato tiranno, che presume di poter disporre della vita dei più deboli e indifesi (…) in nome di una utilità pubblica che non è altro, in realtà, che l’interesse di alcuni“. Conclusione: l’abito non fa il monaco, e la scritta “République” non è garanzia che la res publica (la cosa comune, il bene comune) sia la stella polare che dirige l’azione dello Stato che sotto quell’insegna opera e prospera.

La seconda riguarda la responsabilità personale. Il futuro imputato disconosce la legittimità della legge in base alla quale avrebbe dovuto abbandonare la donna fra le gelide nevi alpine. Un altro – più celebre – imputato disconobbe, alcuni decenni or sono, la legittimità del tribunale che lo stava giudicando. Si chiamava Adolph Eichmann e, al contrario del nostro Antigone delle nevi, riteneva che – essendosi limitato ad eseguire gli ordini ricevuti – non lo si potesse condannare per aver mancato di adempiere a un fondamentale dovere di responsabilità verso gli altri (ovvero di assumersi la responsabilità personale – e poi giuridica – della (in)giustizia del comportamento che la legge dello Stato si aspetta da noi).

Sul punto citiamo un dialogo di un film (Norimberga). “Credo d’essere vicino a definire la natura del male” – dice l’attore Matt Craven, impersonando lo psicologo (Gustave Gilbert) che studiò i gerarchi nazisti al processo di Norimberga – “una mancanza di empatia, una genuina incapacità a sentire insieme ai propri compagni di umanità. Il male, io credo, è l’assenza di empatia”. 

Per la giustizia degli uomini, sarà un giudice francese a decidere chi ha ragione. Che però la storia e il diritto abbiano sempre bisogno di nuovi profeti, che smascherino il lupo vestito da agnello, il male travestito da rispetto della legge, su questo non possiamo aver dubbi.

Così come non v’è dubbio che Benoit Ducos (questo il nome del protagonista di questa tragedia delle nevi) dia una lezione di umanità a tutti noi. Ci saremmo fermati noi? O avremmo forse avuto imbarazzo di quei volti, fretta di raggiungere la meta, di andare a sciare? Avremmo forse avuto paura di essere assaliti da quei genitori con due bimbi al seguito? O avremmo teso loro una mano? Cosa ci rende umani e a quale legge dobbiamo obbedienza? Abbiamo una coscienza o preferiamo farcela avvizzire dentro a suon di “me ne frego”?

Se ci guardiamo attorno scopriremo che siamo tutti chiamati ad essere Antigone, a tradire le aspettative (della legge o delle convenzioni, delle amicizie o dell’inerzia comportamentale) per aprire il nostro cuore agli altri. 

Spetta a noi conformare le nostre scelte di vita al tipo di umanità che vogliamo incarnare. Benoit ha il fiato allenato ma, a volergli andar dietro, siam sicuri che il suo esempio ci porterà – citando Pier Giorgio Frassati – “Verso l’Alto”. A ognuno la responsabilità di scegliere a quale quota di umanità si sente di appartenere. 

Gabriele D'amico

Torinese, avvocato, appassionato di diritto ed economia della cultura, dottorando fra Berlino e Gerusalemme in diritti umani e diversità culturale. Consapevolmente olivettiano, credo nella capacità umana di superare la gregarietà del sistema limbico e ragionevolmente spero in un futuro di sviluppo umano integrale.