Addio Alitalia: il nostro lavoro, i pensieri e le paure di questi ultimi giorni

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Pochi giorni al 15 ottobre. Pochi giorni alla fine di tutto, mi sembra impossibile da credere eppure è così. Per mano proprio di chi avrebbe dovuto difendere in fondo una sua creatura. Invece sono qui in attesa del pulmino aziendale chissà se per l’ultima volta. Mi assalgono i ricordi, e mi torna in mente la gioia, la fretta nel tornare a casa per dire a tutti “mi hanno preso! Lavoro in Alitalia!”. 
Se mi concentro bene ricordo persino l’odore della tuta nuova, quel bellissimo verde intenso. Ora è sbiadita e logora,
un po’ come me: eh sì, ci sono invecchiato dentro, e mi scappa un sorriso triste.
Ricordo anche l’emozione del primo turno, il sentirmi fortunato di fare parte di una mitica azienda, allora eravamo 22mila e l’azienda stava bene, in salute. Adesso siamo solo 10mila ma tutto va a rotoli. E mi tornano in mente i volti di quei colleghi cacciati via, nel 2008 sono stati licenziati tutti i colleghi disabili. E un collega col figlio disabile, e moglie disoccupata, via anche lui.
A casa evito di parlarne, rispondo frettolosamente il solito “tanto è tutto già deciso”. E forse è pure vero, se avevo tanto sperato all’avvento dello stato per poi scoprire che vuole una mini azienda di soli 2800 lavoratori senza nessuna tutela, nessun diritto. E il resto stanno bene così.
Sono in piedi e penso, mentre aspetto la navetta che ci porta in pista. Assonnato come sempre e anche un po’ infreddolito, sta piovendo e c’è burrasca quasi quanto dentro di me. Da un po’ ho smesso di leggere le notizie come facevo ogni mattina, leggere notizie inquietanti sulla mia azienda mi gela più di questo strano freddo.  E poi di noi operai non parla nessuno, siamo i dimenticati. Noi che là sotto ci pieghiamo la schiena tutti i giorni.
Sul cobus poca voglia di parlare per mille motivi, ma una volta non era così, si scherzava, si rideva, si fingeva perlomeno di non fare caso che stavamo per tornare al nostro girone dantesco. Uccidevano col buonumore la crudezza del nostro lavoro; almeno ci provavamo.
Poi in fila davanti al responsabile per sapere la postazione, ci sentiamo tutti come imputati in attesa di giudizio. Perché se ti capita di stare davanti al nastro tutto il turno, beh sai che dovrai caricare dai 150 ai 200 bagagli e a pensarci già ti fa male la schiena. Il rumore dei rulli è la prima cosa che senti, e poi le valigie, una serie che sembra infinita. A volte non fai in tempo a prendere un bagaglio e quello passa oltre, così lo devi rincorrere e portarlo di peso fino al contenitore. E pesano e ci
sono giorni che non senti più le braccia, la schiena diventa un blocco di marmo e non la pieghi più.
Mi fa rabbia sentire che siamo privilegiati, qui in Alitalia lo stipendio medio è da fame, 1100€.  Come i colleghi di scalo tutto il giorno a contatto con i passeggeri, col rischio di prendere il covid ad ogni turno. Lavorando sotto organico, sempre in piedi. Non è vita facile neanche per loro.
Sono lavori duri, ma danno da vivere alle nostre famiglie e questo sì che lo rispetto. E dovrebbero rispettarlo anche quelli che ora seduti intorno ad un tavolo parlano del nostro destino come se fosse una roba da niente. Come se non ci fossero vite figli famiglie dietro quei numeri.
Vabbè, vedo che ormai i carrellini coi bagagli sono in fila attaccati al trattorino: ok, si parte. Adoro questo momento. Non solo perché non carico valigie per un pò: mi piace girare in pista, vedere gli aerei, i decolli a cui mai riuscirò ad abituarmi ed ogni volta mi sembra un gioco di prestigio. Quel pachiderma di ferro che si stacca da terra e vola arrampicandosi sul nulla. Ma ora non decolla niente, fa impressione la pista così, tutto fermo, o quasi.
Solo i pensieri si affollano, con la paura del domani a rincorrerli.
Penso che un giorno tutto questo mi mancherà per quanto a volte lo odi. Un po’ come quelle coppie che litigano ma in fondo si vogliono bene. E fanno sempre pace. Già, la pace.
Arrivato sottopancia dell’aereo sgancio i carrellini. Altri colleghi mi salutano, loro più fortunati, gli è toccato il turno di carico sottobordo. Anche se lavorare in plancia dove quando fa caldo ti manca l’aria è opprimente, nulla è facile in aeroporto. Vado via col trattorino, mi giro e do uno sguardo all’aereo e alla scritta Alitalia che scivola su tutta la fiancata come una carezza. Ne vedo tanti di aerei eppure questa è la più bella, in assoluto. Sarà forse perché ognuno di noi ce l’ha tatuata sul cuore. La vedo splendere sotto il sole e per un po’ dimentico tutto.
Anche se tra poco, per una scelta assurda, tutto questo finirà.
Marco Innocenti

Dipendente Alitalia. Candidato della lista Sinistra Civica ecologista Roma alle elezioni comunali 2021