Intervista a La Stampa
di Andrea Carugati
Lo lasci dire a me ,che ho conquistato sul campo la fama di “razionalizzatore”: a forza di tagliare e cercare la massima efficienza negli ospedali che vuol dire personale ridotto al l’osso sulla sanità pubblica siamo vicini al punto di rottura», spiega Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana (ex Pd ora in Mdp).
I dati dicono che dal 2009 sono spariti 18mila posti letto.
«La spesa nazionale è pari a quella del 2011, siamo sotto la media europea e questo non era mai accaduto. La Corte dei conti ha riconosciuto che il comparto sanità ha avuto il peso maggiore nel risanamento dei conti pubblici. Proprio per questo è ora di invertire la tendenza: la corda è già stata tirata troppo, ora è il momento di tornare a investire, di fare della sanità pubblica un settore che traini la crescita».
Più facile a dirsi che a farsi.
«Non ci sono solo i dati sui posti letto tagliati. Ma anche quelli che raccontano di milioni di italiani che non si curano o vanno dai privati. Bisogna tornare a fare assunzioni mirate, rinnovare i contratti bloccati da sei anni. Non penso ad assunzioni a pioggia di medici, ma ad una vera programmazione. Per questo lancio un appello non solo al governo, ma a tutte le forze politiche: bisogna programmare la sanità del 2030, individuare i filoni che possono produrre sviluppo, la ricerca, il biomedico, le infrastrutture. Non è una questione di parte».
La Sanità è di competenza regionale. Voi governatori non avete nulla da rimproverarvi?
«Ma certo che abbiamo le nostre responsabilità e non possiamo sottrarci. Negli ultimi anni siamo stati messi all’indice come spreconi, ora dopo il referendum dobbiamo trovare un nuovo senso di responsabilità e farci avanti. In Toscana siamo al top, ma dentro un’Italia che arretra: bisogna smettere di guardare solo alla propria regione, comportarci come classe dirigente nazionale».
In concreto?
«Ho apprezzato i tentativi del ministro Lorenzin di difendere la spesa sanitaria, ma non basta. I tagli sono iniziati con Tremonti, poi sono proseguiti con Monti. Letta e Renzi hanno provato a correggere il tiro, ma troppo tardi e troppo poco. Ora, in vista della legge di Bilancio, come presidenti di Regione dobbiamo proporre al governo una piattaforma coraggiosa di investimenti sulla salute. Una inversione a U».
In agosto gli ospedali si svuotano di personale e il peso ricade sui pronto soccorso. Non si potrebbe evitare?
«I reparti sono organizzati al limite: basta una malattia improvvisa, un cambio nei piani ferie all’ultimo momento per precipitare nell’emergenza. Certo, ci sono Asl e reparti più efficienti di altri, anche in Toscana. Faccio un esempio: se in estate non si acquistano le macchine per la respirazione, poi quando arriva il picco dell’influenza le terapie intensive si intasano di anziani che hanno difficoltà respiratorie. È un domino delicatissimo, e se il personale è sempre al minimo basta pochissimo perché l’equilibrio salti. È il risultato delle politiche di questi anni: si è pensato di fare le nozze coi fichi secchi, ora basta».
Alcune regioni, in particolare al Sud, sono finite coi conti in rosso. I soldi sono stati spesi male.
«E’ un dato di fatto. Ma i piani di rientro sono stati spesso delle cure da cavallo che hanno ucciso il paziente. Dobbiamo lavorare con i colleghi del Meridione per un piano di investimenti che parta proprio dal Sud. Al Centro-nord siamo pieni di medici originari del sud che fanno un ottimo lavoro e di pazienti con la valigia. Se si torna a investire in queste regioni, anche il problema sovraffollamento nel Nord si potrà ridimensionare».