Enrico Rossi. In difesa del diritto allo studio

Politica

Enrico Rossi, Huffingtonpost.it

Il diritto allo studio è uno dei diritti fondamentali e inalienabili della persona individuati dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1948, ed è individuato anche dalla Costituzione Italiana come un diritto fondamentale dei cittadini.
L’art. 34 stabilisce infatti che:
“I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.
Oggi, in un momento in cui aumentano le disuguaglianze sociali, gli squilibri nella distribuzione dei redditi, cresce il numero di famiglie in difficoltà economica – 7,2 milioni di persone sono povere secondo le ultime rilevazioni Istat – quella norma costituzionale torna di grande attualità e importanza.
In un momento storico nel quale il livello di disoccupazione giovanile (19-34 enni) sfiora il 40%, non solo si sta consumando un dramma sociale che rischia di mettere le generazioni le une contro le altre, ma soprattutto si rischia di vanificare le migliori energie che abbiamo a disposizione per la crescita del paese.
Per la crescita dell’Italia è inevitabile puntare su innovazione, creatività e sviluppo di settori ad elevata tecnologia e intensità di conoscenza. A tale scopo il monito della Ue, che pone all’Italia l’obiettivo di incrementare il proprio numero di laureati al 26-27% entro il 2020 (un obiettivo comunque al di sotto di quello medio europeo, fissato al 40%), non può essere in alcun modo disatteso.
Lo studio universitario è stato e resta un importante ascensore sociale che garantisce non solo una riduzione nelle disuguaglianze ma soprattutto si pone alla base dello sviluppo di un paese moderno che intende competere in prima linea per affermarsi nel mercato mondiale.
I figli di laureati, e quindi di famiglie in cui i genitori tendenzialmente svolgono lavori meglio retribuiti, sono però quelli che hanno le maggiori probabilità di proseguire gli studi; vi è quindi il rischio che in assenza di un intervento dello Stato, la partecipazione agli studi universitari divenga progressivamente appannaggio di una ridotta élite di fortunati.
Per tali ragioni il governo italiano ha sempre sostenuto, con le politiche del diritto allo studio, l’accesso agli studi universitari dei giovani meritevoli e privi di mezzi.
Pur in una fase di forte contenimento della spesa pubblica il governo, già dal 2016, ha ulteriormente investito nelle politiche di supporto alla formazione universitaria aumentando in modo considerevole i fondi per il Diritto allo Studio Universitario. Il Fondo Integrativo Statale, che finanzia borse di studio, servizi mensa e alloggio, è stato incrementato da 162 mln di euro a quasi 217 mln con un incremento di quasi 55 mln, a dimostrazione che l’alta formazione resta una priorità sia del governo nazionale, sia delle Regioni che a loro volta investono ingenti risorse proprie per sostenere lo studio dei giovani italiani.
Considerando anche il gettito della tassa Dsu – una tassa di scopo pagata dagli studenti universitari in favore degli studenti meno abbienti – pari a circa 225 mln di euro, e le risorse proprie autonomamente investite dalle Regioni per il finanziamento di borse di studio (circa 130 mln di euro), la collettività nazionale investe nel diritto allo studio oltre 570 mln di euro.
Oltre a queste cifre, le singole Regioni supportano finanziariamente le aziende del diritto allo studio coprendone i costi di funzionamento e gestione. A fronte di questo grande sforzo, l’azione della Agenzia delle Entrate – certo animata dalla necessità di recuperare gettito fiscale ove possibile – rischia di mettere letteralmente in ginocchio il sistema del Diritto allo Studio nazionale.
In Toscana per esempio, il servizio di mensa e alloggio, offerto a tutti gli studenti, è gestito come attività di mercato e quindi assoggettate a Iva. Dal momento che i prezzi che le mense e le residenze praticano agli studenti non coprono integralmente i costi di produzione – l’obiettivo di queste strutture è offrire buoni servizi e non realizzare profitti – le Aziende Dsu spesso risultano a credito Iva.
L’Agenzia delle entrate, a seguito di una verifica fiscale, ha notificato all’Azienda Dsu Toscana (ma analoghe notifiche sono state inviate alla Regione Friuli Venezia Giulia e seguiranno per molte altre Regioni) un avviso di accertamento in cui, rivedendo una posizione decennale, sostiene la necessità di adottare un diverso regime Iva, e chiede quindi la restituzione dell’Iva a credito incassata dall’Azienda nel 2011, incrementata degli interessi di mora e delle relative sanzioni per un totale che supera i 9 mln di euro.
Un onere imprevisto di questa portata rischia di non essere sostenibile da parte dell’azienda, specie se, in prospettiva, si prendono in considerazione gli avvisi di accertamento che potrebbero essere notificati per gli anni successivi al 2011.
A cosa è servito lo sforzo del governo, delle Regioni e dei singoli studenti universitari se, con una improvvida partita di giro della Agenzia delle Entrate si mette in forse la prosecuzione delle politiche di supporto al diritto di accesso allo studio?
La norma che sta per essere portata in discussione in Parlamento accoglie l’interpretazione dell’Agenzia delle entrate, anche con valore retroattivo, finendo così per creare una situazione di difficoltà finanziaria e funzionale gravissima. Si vanifica così l’intervento sul diritto allo studio universitario.
Ammesso che la Regione Toscana sia in grado di salvare dalla bancarotta la propria azienda Dsu, quali prospettive si aprono per il diritto allo studio?
Lo scenario è solo uno: l’erogazione di soli sussidi monetari agli studenti che saranno quindi costretti a rivolgersi a servizi di mercato e, laddove il contributo finanziario non sia sufficiente a coprire le spese per mantenersi agli studi, rinunciare al conseguimento di una laurea e a una prospettiva di carriera in linea con le proprie aspettative.
Si consuma così, coperta dai tecnicismi fiscali, l’ennesima cessione al mercato di funzioni che la Costituzione assegna allo Stato e alle Regioni.

all’intervento ha collaborato Monica Barni