Il coronavirus, una sfida bioetica. Il parere del Comitato nazionale

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Mentre si discute animatamente di Fase 2, nel tentativo di tessere il filo di un equilibrio tra salute ed economia, lavoro e sicurezza, abbassando, per un istante, l’audio delle tifoserie, vorrei segnalare uno dei rari documenti redatti senza bisogno di ulteriori task force su un tema tutt’altro che irrilevante tra quelli provocati dall’emergenza sanitaria in atto: il parere del Comitato Nazionale di Bioetica su Covid-19: la decisione clinica in condizioni di carenza di risorse e il criterio del “Triage in emergenza pandemica” dell’8 aprile scorso. Il testo è frutto della collaborazione tra i professori Stefano Canestrari, Carlo Casonato, Antonio Da Re, Lorenzo d’Avack, Assunta Morresi, Laura Palazzani, Luca Savarino, con il contributo di tutti i componenti del Comitato. Il professor Maurizio Mori ha espresso un voto contrario lasciando agli atti le ragioni del proprio dissenso.

All’esame un aspetto ricco di implicazioni sociali morali e politiche: il problema dell’accesso alle cure dei pazienti in condizioni di risorse sanitarie limitate. Nella bussola del Comitato Nazionale di Bioetica (d’ora in avanti CNB) tre principi: giustizia, equità, solidarietà. A partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Compresi i primi articoli della Costituzione. L’articolo 2 che riconosce e garantisce “i diritti inviolabili dell’uomo”. L’articolo 3 in riferimento all’eguaglianza sostanziale, articolato in due commi. Il primo: “Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Il secondo, ispirato da Massimo Severo Giannini, al quale si deve l’avvio di un processo di riforma tuttora in itinere grazie al suo Rapporto sui principali problemi dell’Amministrazione dello Stato trasmesso alle Camere nel lontano 1979 come di ministro della Funzione pubblica. Ecco: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Quindi l’articolo 32 con l’idea di salute come “fondamentale diritto dell’individuo” e “interesse della collettività”. A questi presupposti costituzionali il CNB aggiunge un doveroso riferimento alla legge 833/1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), in ordine al bene universalistico della cura.

Oltre alla tutela della vita e della salute è molto avvertito oggi il tema della trasparenza, in ordine a scelte che non corrispondano a discrezionalità soggettive, ma a protocolli intersoggettivi, in grado di definire condotte condivise. Approfondendo il tema il CNB non manca di orientare lo sguardo in direzione di alcune criticità (come nella nota 2).

Provo a riprenderle:

“finanziamenti inadeguati al Servizio Sanitario Nazionale”;

“un’erronea programmazione nella formazione e nel reclutamento di medici, soprattutto specialisti, connessa anche al blocco del turn-over del personale sanitario”;

“un insufficiente finanziamento delle borse di studio per la frequenza di scuole di specializzazione medica”;

“una struttura organizzativa con pesanti disomogeneità territoriali: nel tempo il nostro Servizio Sanitario Nazionale è andato trasformandosi di fatto in un insieme di Servizi Sanitari Regionali (oltre a quelli delle province autonome), comportando in tal modo un’inaccettabile disuguaglianza tra i cittadini, a seconda della regione in cui risiedono”;

“il mancato aggiornamento e la mancata implementazione, sia a livello nazionale che regionale, del Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale, predisposto dopo l’influenza aviaria del 2003 dal Ministero della Salute e non più aggiornato dopo il 2006”;

“il ridimensionamento del ruolo della medicina di base e territoriale”;

“la progressiva separazione tra politiche sanitarie e politiche socio-assistenziali, con la conseguente svalutazione di queste ultime”.

Limiti che la pandemia ha messo ulteriormente in evidenza, compreso il dilemma su come utilizzare al meglio quanto è a disposizione al fine di assicurare “a tutte le persone eguali opportunità di raggiungere il massimo potenziale di salute consentito”, adoperandosi perché “sia garantita l’universalità delle cure”.

Di fronte alla necessità di una scelta il CNB si discosta dalle linee guida della SIAARTI (Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva, Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili, del 6 marzo scorso), la quale legittimamente si è posta da un punto di vista professionale. Non dimentichiamo il contributo straordinario di vittime del personale medico e sanitario in prima linea per combattere e sconfiggere il virus.

Il CNB ha competenze più ampie di visione della compatibilità tra etica e diritto, di sollecitazione e orientamento ad una conforme azione normativa. Nella circostanza, in riferimento alla fissazione di un limite di età per l’impiego dei respiratori, il CNB sottolinea il valore del “criterio clinico come il più adeguato”. Altri – come l’età, il sesso, la condizione e il ruolo sociale, l’appartenenza etnica, la disabilità, la responsabilità rispetto a comportamenti che hanno indotto la patologia, i costi – non sono ritenuti condivisibili per il rischio discriminatorio, per quanto non voluto, che comportano.

Questo non toglie che il CNB ritenga che “vada presa in considerazione l’idea di limitare eventuali profili di responsabilità professionale degli operatori sanitari in relazione alle attività svolte per fronteggiare l’emergenza Covid-19”,  poiché posti di fronte a decisioni improvvise e impreviste non senza la necessità di scelte drammatiche.

Il CNB considera valido il metodo del triage, la scelta tra più pazienti di quelli maggiormente bisognosi di cure, motivato dalla pandemia, sulla base:
1) della preparedness, vale a dire di un programma operativo a lungo termine di preparazione alle emergenze;
2) dell’appropriatezza clinica;
3) dell’attualità.

L’età è un parametro che viene preso in considerazione in ragione della correlazione con la valutazione clinica attuale e prognostica, ma non è l’unico e nemmeno il principale. La priorità dovrebbe essere stabilita valutando, sulla base di determinati indicatori, i pazienti per cui ragionevolmente il trattamento può risultare più efficace, nel senso di garantire la maggiore possibilità di sopravvivenza. Evitando esclusioni aprioristiche.

È importante che la decisione terapeutica concernente i diversi pazienti da trattare, secondo la gravità della patologia, sia frutto di un consulto tra più medici, per garantire il confronto di diversi punti di vista, favorendo la corresponsabilità.

Tra le persone vulnerabili, un’attenzione va dedicata agli anziani. Chi ha titolo valuterà le questioni emerse in alcune RSA. Oltre a specifici profili di inadeguatezza è sotto gli occhi di tutti un contesto di emarginazione sociale e affettiva, di segregazione fisica, in taluni casi di abbandono. Avanzata l’età media del maggior numero di pazienti deceduti con e per Covid-19. Quante volte si è sentito ripetere: “tanto sono vecchi”. Solo che sono persone; e, come tali, hanno un eguale diritto alla cura. In relazione al Coronavirus; indipendentemente dal Coronavirus.

Poi c’è il tema del congedo senza il conforto dei cari. Come spiega il CNB: “Oltre a negare l’accompagnamento alla morte del malato, l’epidemia rende impossibile a chi è rimasto di poter condividere il proprio dolore, attraverso il rito del funerale. Anche queste ferite dolorose, oltre a molte altre, lasceranno il segno nel vissuto delle persone e delle comunità”. Abbiamo assistito alla solitudine del morente, riprendendo un’espressione del sociologo Norbert Elias, alla desolazione delle esequie, ai camion dell’Esercito impiegate per trasportare le bare.

In presenza di un’aspettativa di vita che rappresenta un primato positivo del nostro Paese nel mondo, occorre dare un senso al tempo ulteriore conquistato a favore della vita. Nell’agenda delle riflessioni civili che l’emergenza provocata dal Covid-19 porta con sé vi è anche questa.

Ripartire non significa tornare a prima. Per approdare ad una rinnovata normalità occorre superare le distorsioni della normalità precedente.

Marco Macciantelli

Allievo di Luciano Anceschi, dottore di ricerca in Filosofia, già coordinatore della rivista “il verri”, agli studi e alla pubblicazione di alcuni libri ha unito l'impegno politico di amministratore pubblico.