Ho letto la lettera di Matteo Renzi a la Repubblica. Da quando sono uscito dal Partito democratico, ho sempre preferito commentare il meno possibile quello che è stato il protagonista della scorsa legislatura. Tuttavia, quanto scrive tocca una delle questioni che sono risultate, in ultima analisi, decisive sulle sorti del Paese: volgarmente, l’immigrazione.
I 10 punti segnalati non riescono a fare un’analisi seria. Come al suo solito, l’ex sindaco di Firenze si muove con superficialità, restando a volte ambiguo sulle posizioni, a volte inutilmente polemico. E infatti, come sempre da quando ormai lo hanno mollato, diventa facile bersaglio strumentalizzato. Basti leggere il titolo di Libero Quotidiano, giornale di Destra (“Renzi smonta il PD”).
Tuttavia, merita attenzione la lettura di due punti, il 5 ed il 10. Il primo, è una (parziale) autocritica. Lì, infatti, sottolinea come i governi renziani abbiano “sopravvalutato l’immigrazione”, aprendo al “successo di Matteo Salvini”. Il secondo, invece, evidenzia la sua totale assenza di analisi non contingentale: scrive, infatti, che “la globalizzazione non è il nostro avversario” e che “il mondo globalizzato è la più grande chance per l’Italia”. In sostanza, seppur cogliendo aspetti reali – gli errori politici della scorsa legislatura e talune contraddizioni – Renzi continua in una narrazione in cui la globalizzazione pare non abbia pesantemente influito sul presente, permanendo in una bolla stile anni ’80 / ’90 che, mese dopo mese, diviene sempre meno comprensibile.
Si rimane nel complesso perplessi. Grande comunicatore – forse più quando era di successo – Renzi non riesce ad analizzare il presente. Senza troppo sottolineare che i problemi sull’immigrazione non sono solo del 2017, ma pure e soprattutto stanno sul suo governo (ma patologicamente lui scarica tutto su Paolo Gentiloni) o che è veramente patetica l’ennesima stoccata sulla sinistra (“C`è una parte della sinistra che attribuisce tutte le colpe alla globalizzazione”), fa comunque piacere che riesca ad ammettere, seppure solo parzialmente, che la gestione di quegli anni aprì a una egemonia culturale di Destra (basti ricordare le parole di Pier Luigi Bersani di allora, che lamentava come non avessero “capito nulla di quel che sta accadendo in Italia e in Europa”). Quelle scelte – unite alla debolezza nella risposta alla pressione mediatica – aprirono il fianco a una narrazione devastante sul piano politico e sociale, oltre a generare una diffusa sfiducia sulle posizioni del centrosinistra.
Ma questa parziale autocritica, senza analisi è aria fritta. L’immigrazione si trasforma in problema perché i costi sociali dell’iper – globalizzazione hanno portato a una reazione di chiusura e difesa identitaria da parte popoli nazionali (Basta leggere gli studi dei professori Joseph Stiglitz o Dani Rodrik). E tali costi non possono essere ignorati o bollati sull’altare delle banalissime “chance” della globalizzazione (godute da pochi e mai redistribuite, tra l’altro, con l’effetto di spostare altrove elettoralmente i molti). Dinnanzi a questa evidenza nessuno ricerca la chiusura, ma la riforma degli accordi sul libero scambio e sulla circolazione dei capitali, sugli organismi internazionali, sulla tutela delle politiche sociali e costituzionali, che non sono una questione secondaria, ma centrale sul piano politico. Permetterebbero, infatti, un’efficace risposta sul piano internazionale alla forza prevaricatrice e distorsiva del mercato, con recupero in autorevolezza ed efficacia dell’azione della politica.
Anche per questo, soprattutto per questo, non accetto la conclusione di quell’articolo. Nel punto 4, tra l’altro, lui immagina ancora un tipo di cooperazione internazionale che è un po’ la beneficenza interessata del neo colonialista, che non affronta i problemi strutturali della crisi di governance globale. Poco di nuovo: l’autocritica del punto 5 scade nei soliti slogan (punto 10) e in debolezza (punto 4). Matteo, se parliamo di “scimmiottare gli avversari”, forse sarebbe il caso di andare un po’ oltre. E finirla con la comunicazione esasperata e aderente (agli altri) che porta, ancora una volta, a farti scrivere “aiutiamoli a casa loro”.
Per favore, anche basta.