Dopo il voto del 26 maggio, comprensibilmente, vi è stato un profluvio di analisi e di valutazioni. Le diamo per lette, in particolare, le note, tempestive, documentate, dell’Istituto Cattaneo. La Lega dominus del governo, non senza la stranezza di un estremismo al centro del sistema politico. Con una tempesta perfetta, tra le due forze che hanno assunto le preminenti responsabilità di governo, Lega e M5s, a sfavore del M5s, con un ribaltamento dei rapporti di forza usciti dal voto del 4 marzo 2018. Ma il M5s è risultato in difetto non solo nel confronto con la Lega, anche con la lista promossa dal Pd, arrivando terzo, sconfitto due volte. La proclamazione verbale della fine della dialettica destra-sinistra smentita dalla fattuale azione di governo, gregaria alla Lega.
Certo, l’attuale esecutivo è anche un frutto del Rosatellum, sistema elettorale sostanzialmente proporzionale, che impone alleanze tra diversi, sino a un antagonismo esibito dagli scranni ministeriali. Tuttavia, in quest’ultimo passaggio, nel marasma della post-politica, un po’ di chiarezza: il ritorno, almeno in nuce, di un rinnovato bipolarismo destra-sinistra.
Dispiace la dispersione di circa un 7% tra Più Europa, Europa verde, Sinistra, sotto soglia del 4%. Si conferma, semmai ce ne fosse bisogno, la correttezza dell’orientamento unilaterale assunto da Articolo Uno nel congresso di Bologna, all’inizio di aprile, di partecipare a una lista nel segno dell’unità delle forze che si richiamano, in modo plurale, alla famiglia del socialismo europeo. Generoso l’impegno di candidature di qualità come quelle di Maria Cecilia Guerra e di Massimo Paolucci.
L’attuale governo esce indebolito e confuso da questo passaggio, per le sue interne contraddizioni, tutt’altro che risolte. In una crisi che assume contorni di sistema; e ciò sino a che non si configurerà un’altra idea dell’Italia.
La governance europea, prima di acquisire un assetto, ha bisogno di qualche mese. E’ probabile che Lega e M5s cerchino di parteciparvi, pur da posizioni minoritarie, dalla responsabilità di governo. Poi, come sappiamo, in autunno, la legge di stabilità. Passaggio nel quale più della teatralizzazione delle dispute, presunte o reali, conteranno le scelte di merito, per venire a capo di una manovra estremamente impegnativa, per la delicatezza del quadro sociale, economico e finanziario.
Del voto di domenica vorrei riprendere un aspetto già trattato da Giampaolo Pietra su questo blog il 30 maggio. Una volta tanto guardando alla vicenda elettorale non dal punto di vista dell’offerta, o del ceto politico, ma da quello della domanda, o del corpo elettorale, almeno di una parte di esso. Da un lato, un voto a “questa” Lega, per le europee, contribuendo a renderla primo partito. Dall’altro, il sostegno a proposte di centrosinistra, sul territorio, meglio ancora se dotate di accenti civici. Un’insolita mescolanza, una forma di voto disgiunto, alla ricerca di una duplice protezione che lancia segnali di critica alle politiche europee, confermando, al contempo, l’apprezzamento per quello che potremmo dire il socialismo municipalistico.
D’altra parte, da tempo sappiamo che dall’elettore fidelizzato siamo passati a quello scettico, ma tutt’altro che ingenuo. All’elettore per sempre si è sostituito quello a tempo. Di qui la tendenza alla volatilità, al repentino salire e precipitare del consenso.
C’è da dire che le proposte presentate dal centrosinistra, in buona parte dei territori, hanno attenuato la caratterizzazione politica. Giusto allargare il campo; ma ciò assume un particolare rilievo se è fatto sviluppando un chiaro profilo segnato dai valori, di giustizia sociale e di etica pubblica, tipici della sinistra. Il centrosinistra ha bisogno di consolidarsi alla guida delle città e dei territori, e bisogna lavorare perché ciò accada anche al secondo turno, sperimentando, dal basso, con umiltà e concretezza, le forme possibili di un’alternativa al governo nazionale, nella piena coscienza del cammino, né breve, né facile, che c’è ancora da compiere.