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Abbiamo combattuto e perso, ma ora evitiamo l’errore del bruco

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L’ultima iniziativa per le elezioni del 4 marzo, in regime di Rosatellum, a Fiesso, frazione nel comune di Castenaso, quello in cui alcuni servizi televisivi, non tanto tempo fa, hanno raccolto espressioni sbrigative, da parte di frequentatori di centri sociali, sul tema della sicurezza. Fuori ha appena smesso di nevicare. Dentro, alle pareti, attrezzi di lavoro, i simboli di una civiltà che, almeno qui, appartiene, come poche altre, all’album di famiglia. Arrivo a Fiesso dopo un viaggio attraverso il territorio. Con il suo carattere orizzontale, ricco di sfumature e di accenti. Nonostante Burian, come è stato denominato, la sala è piena. Persone; ciascuna con la sua storia, tra speranze e disillusioni. Lo so; non è una categoria politologica; ma il nostro fondamento è lì, tra la nostra gente.
Chi ha fatto la campagna elettorale ha ben presenti difficoltà e problemi. Di tutti i tipi. I silenzi più eloquenti di tante parole da parte di interlocutori anche vicini e solidali. La mancanza di tempo per costruire una strategia e l’inevitabile rincorrere le scadenze, giorno per giorno. E tuttavia: una grande risorsa, nella completa assenza di risorse, è stata la generosità di coloro che hanno dato una mano ai banchetti, nell’organizzazione dei pranzi elettorali, delle tante iniziative, per garantire l’affissione dei manifesti, per distribuire il materiale. Non dobbiamo smettere di ringraziarli, per tutto quello che hanno fatto, per tutto quello che hanno dato.
Diciamoci la verità. Abbiamo fatto questa campagna elettorale a mani nude, senza risorse, con l’ostilità del “sistema” e le falsità sul voto utile. Un boomerang che ha contribuito a favorire il confronto tra centrodestra e M5s. I voti presi da Liberi e Uguali, sicuramente inferiori alle aspettative, non sarebbero comunque mai andati al Pd. L’insistere sul “voto utile” un autoinganno, un modo di guardare nella direzione sbagliata, rispetto a quello che covava dentro, in profondità.
Una campagna breve. Un mese scarso. Nella logica del last minute. Ormai una mentalità. Per prendere un aereo. Prenotare un treno. Fare acquisti. Ovvero per contrastare gli sprechi alimentari (c’è poi chi ci costruisce sopra del marketing e chi del vero aiuto a chi non ha di chi mangiare). La gente ha meno tempo (o così pensa) e tende a fare le cose all’ultimo istante. Anche in politica, sempre più spesso, i cittadini decidono cosa e per chi votare a ridosso delle elezioni. Poi magari si scopre, dopo, che la fretta non è stata buona consigliera e che quel che è stato acquistato, senza riflettere, all’ultimo istante, è fallato. Dal reddito di cittadinanza alla flat tax.
Non c’era bisogno di sondaggi per “sentire” che il 4 marzo sarebbe stato uno spartiacque. Non solo questione di percentuali di questa o quella lista. La sera della domenica si è stagliato, sugli schermi televisivi, davanti ai nostri occhi, uno tsunami che ha ridisegnato la situazione politica italiana, sia dal punto di vista sociale, sia dal punto di vista territoriale, sia dal punto di vista dei pesi politico-elettorali. Nessuna recriminazione. Le elettrici e gli elettori hanno sempre ragione. La sovranità popolare viene prima di ogni sovranismo di partito. Non sono gli altri che non ci capiscono. Siamo noi che, evidentemente, non siamo riusciti a spiegarci e a farci capire. A maggior ragione dobbiamo sentire una grande responsabilità verso chi ci ha conferito la sua preziosa fiducia.
Siamo in presenza di un collasso di quello che abbiamo detto il centrosinistra, nelle sue diverse espressioni, e non solo in modo conforme a quanto accade nel resto d’Europa. Prima coalizione, il centrodestra. Primo partito, il M5s. Né l’una, né l’altro, con una maggioranza. La crescita del centrodestra e, nel centrodestra, della componente sovranista. L’affermazione del M5s, che continua a raccogliere il malessere del Paese con un voto, al contempo, sia contro il governo, sia per un altro governo (la caterogia del populismo sempre meno in grado di offrire una spiegazione persuasiva). Non ci sono più le “regioni rosse”, ovvero ciò che ne rimaneva. La contendibilità, non più un rischio, ma una condizione di conclamato primato degli altri, M5s e/o centrodestra. E’ un’ovvietà; ma due fa più di uno; una circostanza che, se non bene valutata, potrebbe riservare ulteriori sorprese nelle prossime amministrative, tra pochi mesi e nel 2019. Non crolla solo il Pd, ma anche il governo nel formato che ha assunto, con sostanziale continuità, negli ultimi quattro anni. Insieme alla fatica della lista unitaria della sinistra alla sua prima uscita nazionale. C’è da riflettere. Senza facili giri di frase. Senza reticenze. In democrazia funziona così. Per capire gli errori. Per correggerli. Rispettando le indicazioni di quel milione e centomila persone che ci hanno dato il loro incoraggiamento. Impegnati a ripartire da lì, da chi si è espresso, con il suo libero voto, per una sinistra rinnovata.
Abbiamo cercato in tutti i modi di non chiuderci nel recinto. Coscienti del fatto che l’unica nostalgia possibile è quella del futuro. Serviva questo. Continua a servire. Dobbiamo essere coscienti che ciò che abbiamo fatto è una grande seminagione verso il futuro. Dobbiamo continuare a guardare avanti. Senza società la politica è poca cosa. Dobbiamo lavorare per una sinistra che vada oltre i propri limiti, per collegarsi al senso di comunità, tra non profit, capitale sociale, terzo settore. Oggi soprattutto. Contro le diseguaglianze. Per una radicale discontinuitià delle politiche, a partire da lavoro, scuola e sanità. Il 4 marzo non è la conclusione, ma un inizio. C’è un’immagine di Ulrich Beck. Il bruco lamenta il proprio destino, senza rendersi conto che sta per trasformarsi in farfalla. Ecco, evitiamo l’errore del bruco, continuiamo a tenere aperto l’orizzonte davanti a noi, facendoci, nel Parlamento e nel Paese, promotori di cambiamento.

Marco Macciantelli

Allievo di Luciano Anceschi, dottore di ricerca in Filosofia, già coordinatore della rivista “il verri”, agli studi e alla pubblicazione di alcuni libri ha unito l'impegno politico di amministratore pubblico.