Seguendo la stella: il presepe, la dignità e i diritti dell’uomo

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Natale e capodanno son passati. Le strade di Berlino già si riempiono di piccoli abeti che, spogliati dei loro bagliori, attendono al freddo che la nettezza urbana si riavvii con teutonica efficienza. Aspettando l’Epifania passeremo questi giorni a riprenderci dal periodo delle festività; chi in Italia, chi all’estero. Alcuni di noi han fatto il presepe, altri l’albero, altri ancora entrambi o nessuno dei due. Quale che sia stata la vostra scelta, prima di rimettere festoni e statuine nelle loro scatole, in attesa del prossimo dicembre, auguro a tutti di sostare un minuto di fronte alla stella, poiché in essa credo ciascuno potrà trovare una guida per la responsabilità che incombe su di noi, cittadini sovrani, chiamati a breve a eleggere il Parlamento che governerà l’Italia per i prossimi anni.

La stella è, nel presepe come sull’albero, un elemento d’importanza apicale. Le stelle guidano, guidano i Magi, guidano i naviganti. Allo stesso modo le idee guidano le persone, le comunità, le nazioni. Da quali idee vogliamo farci guidare, e a persone (guidate da quali idee) vogliamo conferire la legittimazione a parlare e agire in nome della Repubblica?

Nelle scorse settimane abbiamo assistito, in Italia così come all’estero, a un accaparramento del presepe da parte di numerosi politici che, ostentando il proprio non essere credenti, ci hanno detto che però loro il presepe lo hanno fatto, per “difendere la nostra cultura”. Al di là del buon gusto dei singoli o della serietà personale di chi non ha scrupolo ad usare perfino il bambinello pur di accaparrarsi voti, la questione tocca ciascuno di noi. Non abbiamo forse tutti, in fondo, nostalgia di una realtà meno complessa, di un mondo in cui ci si possa tutti riunire attorno ad un momento, a un totem che esprima unità, che ci conforti nel senso di farci sentire forti nella comunanza? E non è forse la tradizione, il presepe, la cultura comune, il mezzo migliore per costruire questa identità collettiva, questa appartenenza, questo senso dello stare insieme cui tutti aneliamo? Su questo punto la propaganda di Salvini si allinea perfettamente alla Meloni, riprendendo quasi alla lettera il vessillo della “difesa della cultura ellenistica, romana e giudaico-cristiana” caro alla Le Pen e tradotto, nell’agenda internazionale di Putin, nei “valori tradizionali”.

Ma davvero il presepe è un “valore tradizionale”? Davvero il Natale è solo un’espressione culturale come tante altre, come la taranta in Puglia o il gianduiotto a Torino? La stella ci guida verso la risposta. Essa ci porta in punta all’albero, e ci domanda cosa ci sia di speciale nella natura, cosa ci rende diversi da un abete o da qualunque altro animale. Essa ci porta anche indietro nel tempo, a chiederci quale messaggio ci venga mandato da questo Bambino che, avvolto in fasce nella mangiatoia, la storia ci racconta esser stato crocifisso e i Vangeli ci narrano sia così diventato il modello dell’ “Uomo nuovo”. La stella insomma ci impone di domandarci cos’è un uomo, cosa vuol dire non tanto lo stato dell’esistere in quanto umani, ma la nostra essenza umana; cos’è l’umanità come attributo, caratteristica. La stella ci chiede di pensare alla realtà non attraverso gli occhi della tradizione, delle cose come esse sono sempre state, delle culture che si vorrebbero esteriori e immutabili; bensì alla realtà come dovrebbe essere, alla natura come dovremmo trattarla, a come diamo senso al nostro essere umani.

Se seguiamo la stella scopriremo che per i credenti il pericolo sempre in agguato è quello dell’idolatria, idolatria che se – come insegnava don Tonino Bello – può attenderci anche “dietro l’altare più santo”, a maggior ragione rischia di annidarsi anche dentro il presepe più affascinante. Per i non credenti il rischio è quello di fare dell’albero un’idealizzazione un po’ romantica della natura, di perdersi dietro ai festoni e non fermarsi a pensare a cosa ci renda umani, al significato universale del Natale. La stella porta gli uni e gli altri a incamminarsi verso la pace. Noi umani siamo infatti l’unico animale che si pone il problema della pace, che uccide non per fame, che si ammala per mangiare troppo, che di fronte al mendicante che muore di freddo davanti alla gastronomia per cani sente – in coscienza – che c’è qualcosa di etico che è andato storto, c’è una persona e questa avrebbe diritto ad essere trattata un po’ meglio di un animale (senza nessuna offesa per gli animalisti).

Per i credenti la pace cui ci conduce la stella passa dal riconoscimento che in ogni persona umana noi rivediamo il volto di Dio, il Creatore dell’Universo incarnatosi in Maria di Nazareth e che in Gesù si abbassa fino a lavare i piedi degli apostoli, chiedendo a chiunque voglia seguirlo di fare come Lui. Per i non credenti questo si chiama dignità umana inalienabile, e dovere di correre in soccorso di chiunque altro, membro della famiglia umana, si veda negato il diritto di vivere, di fare famiglia, di esistere dignitosamente. Dignità e diritti dunque.

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (il “Vangelo secondo l’ONU”, nella famosa espressione ripresa dal Vescovo Bettazzi, Presidente di Pax Christi) nel suo primo articolo recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Liberi e uguali in dignità e diritti: a questo la stella cerca di portarci. Spetterà a noi, mentre rimetteremo in ordine le decorazioni varie, sostare un istante di fronte alla stella, chiedendoci magari se non siamo stati tentati anche noi di trasformare il bambinello in un idolo da usare, come un contundente vitello d’oro, contro il pensiero di quei fratelli (stranieri, ma anche italiani!) che – nati come noi “liberi e uguali in dignità e diritti” – quella dignità se la vedono calpestata tutti i giorni, quei diritti negati nei modi più disumani. Se guardassimo a quei fratelli dal punto di vista della stella, che essa svetti sull’albero della laicità o sulla capanna della Fede, potremo magari non votare per Liberi e Uguali, ma certamente saremmo cittadini più preparati per scegliere, a marzo, chi dovrà rappresentare il meglio di noi e mettere il nostro meglio al servizio dell’Italia e del mondo.

Gabriele D'amico

Torinese, avvocato, appassionato di diritto ed economia della cultura, dottorando fra Berlino e Gerusalemme in diritti umani e diversità culturale. Consapevolmente olivettiano, credo nella capacità umana di superare la gregarietà del sistema limbico e ragionevolmente spero in un futuro di sviluppo umano integrale.