Duello Tv, ieri sera, tra Martin Schulz e Angela Merkel. Si vota il prossimo 24 settembre. Un elettore su due ancora indeciso. Un bel dibattito. 90 minuti di faccia a faccia, 45 minuti esatti ciascuno, in diretta, sui principali canali nazionali tedeschi. Quattro giornalisti a moderare: due donne, vestite di bianco, due uomini, vestiti di scuro, non senza effetto optical. Toccati tutti i temi di fondo. La politica estera: dal ruolo dell’Unione Europea agli Usa. Dalla Cina alla Russia. E poi: il pericolo del dittatore nordcoreano. Nella ricerca di una soluzione politico-diplomatica, non militare: per Merkel, insieme a Trump. E poi: Iran, Siria, Iraq e, soprattutto, Turchia, Paese con cui si sta determinando un’escalation di tensioni a causa della politica repressiva di Erdogan. Schulz molto chiaro sul punto: “Se le elettrici e gli elettori vorranno conferirmi il mandato di cancelliere della Repubblica Federale, mi propongo di bloccare i negoziati per ingresso della Turchia nell’Unione Europea”.
Quindi: Stato di diritto e sicurezza contro il terrore. Immigrazione, tra accoglienza e integrazione, senza isterie. Poi la politica economica. Welfare e diritti civili. Cose più di dettaglio come l’idea d’introdurre il pedaggio nelle autostrade tedesche (ora non c’è). Schulz: “Con me cancelliere non ci sarà mai”. O come il tema dei ranghi sguarniti della polizia, dove ci sono posti, senza gente disponibile ad indossare la divisa. Schulz ha sottolineato come per lui è una priorità. Nessuna promessa un tanto al chilo, tanto meno sulla riduzione delle tasse. Semmai sottolineatura dell’opportunità di non aumentarle. Nessun populismo. Nessun baloccarsi col giochino per adulti dell’antipolitica. Affidabilità. Serietà. Rispetto per gli elettori, per ricevere il loro rispetto.
Lei pragmatica. Glissa sulla domanda relativa ai risarcimenti per il “dieselgate”. Viene incalzata da una delle due giornaliste sull’accusa di essere subalterna all’industria automobilistica: la “cancelliera dell’auto”. Lui empatico. Concentrato sulla questione sociale, sull’esigenza di garantire una maggiore equità sociale: “La Germania – scandisce Schulz – è un Paese benestante, ma non tutti i suoi cittadini lo sono”.
A un certo punto i quattro giornalisti hanno imposto risposte secche: sì o no. E ci sono riusciti. Da noi, inimmaginabile, nel solito pollaio del darsi sulla voce. Fair play. Riconoscere, di tanto in tanto, le ragioni dell’altro, per portare altra acqua al proprio mulino. Scherma, guardia alta, nessun colpo sotto la cintura. Schulz più trasparente, convincente, umano. Anche se Merkel, data per favorita, souveräne Kanzlerin, è solida, astuta, attenta a non scoprirsi a destra, rifiutando l’alleanza con Alternativa per la Germania, la forza politica euroscettica e xenofoba.
Ma nel confronto con Martin Schulz gli elettori tedeschi hanno potuto misurare l’opportunità di un possibile cambio di leadership. La prima parte, direi, a favore della Merkel. La seconda di Schulz. Il quale, nel minuto finale dell’appello al voto, ha usato la lingua in modo straordinario, parlando della condizione dell’infermiera rispetto al manager milionario. Gli occhi sulla telecamera. Lei più secca e prosaica ha concluso augurando una buona serata ai telespettatori. Un grande paese democratico ha figure di livello a rappresentarlo, da una parte e dall’altra, nella competizione per il governo, affidandosi, senza demagogie, alla volontà popolare.