Viva Lula, la sinistra che resiste. Un destino di democrazia che ci riguarda

| Esteri

C’è una lezione eterna nel risultato di Lula in Brasile: non esistono mai sconfitte definitive da cui non puoi rialzarti. La sinistra o è resiliente o semplicemente non è. Ce lo ha insegnato Gramsci quando scriveva nei quaderni: “Mi sono convinto che anche quando tutto sembra perduto bisogna mettersi tranquillamente all’opera ricominciando dall’inizio”.

In Brasile c’è stato un golpe bianco, sei anni fa, quando venne destituita Dilma Rousseff per accuse che poi si sono rivelate totalmente infondate e il leader del Pt fu messo agli arresti. Basta guardare cosa è andato a fare il magistrato, Sergio Moro, che ha inscenato la farsa giudiziaria che ha invertito il corso della storia recente del più grande paese dell’America latina: il ministro della giustizia nel successivo governo Bolsonaro.

Il Brasile nelle mani della destra ha rappresentato un buco nero nello sviluppo dell’intero continente: le destre hanno bloccato una stagione di politiche economiche espansive, capaci di dare risposte ai dannati della terra, a quelli che non riescono a fare nemmeno un pasto al giorno, che non hanno visto mai una scuola, un ospedale o qualcosa di più di un tetto di lamiera. Questo il Brasile a cui ha parlato il lulismo, questa scelta ha spaventato quella “borghesia compradora” che ha trovato intollerabile la possibilità che un operaio metalmeccanico potesse tornare a essere il capo di una nazione di più di 200 milioni di persone.

In questi anni abbiamo visto crescere una mobilitazione mondiale per restituire dignità e verità al caso Lula: la sua esperienza in carcere ha emozionato il mondo, facendo tornare alla memoria la lunga battaglia contro l’apartheid e la detenzione di Nelson Mandela in Sudafrica.

Ha mobilitato ex primi ministri come Massimo D’Alema e José Zapatero, tutta la sinistra latinoamericana a partire da José Mujica, leadership europee come Jean Luc Mélenchon e Martin Schulz, fino ad arrivare a Papa Francesco. Quest’ultimo gli ha offerto un salvacondotto quasi tre anni fa per visitare l’Europa e riaprire canali diplomatici informali, quando la sua vicenda giudiziaria non era ancora chiusa e la garanzia di una possibile ricandidatura era tutt’altro che sicura.

Ma il messaggio di Lula era universale quanto quello del papa: entrambi venivano dalla “fine del mondo”, entrambi capaci di sfidare gerarchie secolari che hanno sempre reagito mettendone in discussione la legittimità.

Lula vince anche per questo legame profondo con il cattolicesimo brasiliano, insidiato dalle forme più estremiste della chiesa evangelica che nel corso degli anni ha preso piede ed è stata nel continente americano – a nord come a sud – la base elettorale delle destre radicali, da Trump a Bolsonaro. Un impasto di superstizione, millenarismo, antiscientismo, liberismo selvaggio e culto della forza maschile delle armi.

Ricordo che durante la visita di Lula in Italia, nell’incontro che facemmo con una delegazione di Articolo Uno con Massimo D’Alema, Mario Hubler e Roberto Speranza, nominato ministro della salute da pochi mesi e già alle prese con il paziente zero – il lockdown sarebbe arrivato tre settimane dopo -, Lula ci spiegò che Bolsonaro aveva sistematicamente negato l’esistenza del Covid e raccontato urbi et orbi che gli allarmi dell’Oms erano infondati. Capimmo allora che la sfida tra destra e sinistra in Brasile – e possiamo dire con certezza oggi anche in Italia – sarebbe stata attorno alla difesa del sistema sanitario pubblico e alla bussola della scienza contro le fake news. Fu un incontro premonitore, ma anche l’occasione per capire che davanti avevamo una destra mondiale che ha caratteristiche comuni nell’idea della supremazia della logica del profitto sul diritto all’esistenza soprattutto dei ceti più oppressi.

Tre lezioni possiamo ricavare da questo voto in Brasile, anche qui in Italia.

Innanzitutto che la retorica della rottamazione è un’illusione ottica: quando la sfida con la destra si gioca sulle questioni fondamentali contano le biografie e gli esempi, non le innovazioni senza radici e senza idee.

In secondo luogo, le alleanze non sono un annacquamento delle identità, ma il viatico necessario per farle andare al governo per difendere gli interessi generali del paese. Il Pt non ha rinunciato a nulla della sua natura di partito del popolo socialmente connotato, ma ha allargato la sua base elettorale a forze ecologiste – la partita della difesa dell’Amazzonia è stata centrale nel dibattito del paese ma ha assunto inevitabilmente un valore globale – fino al centro politico, perché il numero due (futuro vicepresidente) di Lula è il suo ex avversario del 2006, il socialdemocratico moderato Geraldo Alckmin.

Infine, la democrazia non è mai un bene acquisito per sempre: Bolsonaro in questi quattro anni ha trasformato il Brasile in un paese più violento e più chiuso, usando sapientemente i social per diffondere notizie infondate, fino a sfiorare forme parossistiche di propaganda medievale, accusando Lula di essere in combutta con il demonio. Prepariamoci a un rinculo in stile Capitol Hill: Bolsonaro potrebbe non accettare il risultato elettorale e mobilitare pezzi delle forze armate in una strategia golpista. Per questo si parla di un inquietante “terzo turno”. Per questo il destino del Brasile incrocia il destino dell’Italia e dell’Europa. Quel destino si chiama democrazia.

P.s.: Articolo Uno, nel suo piccolo, in questi anni ha provato a dare una mano alla causa di Lula e del Pt. Non c’è stata una manifestazione politica, un congresso o un’assemblea nazionale fino alle nostre feste nazionali – a Napoli come a Roma e naturalmente nelle ultime due a Bologna – dove non abbiamo ospitato uno stand gestito dai compagni e dalle compagne del Pt. Dalla campagna per scarcerare Lula, alla difesa della foresta amazzonica e degli attivisti che ci hanno rimesso persino la vita per evitare che venisse distrutto il più grande polmone verde del mondo fino alla battaglia decisiva delle presidenziali. Il mio e il nostro pensiero va soprattutto alle straordinarie donne brasiliane che hanno animato qui in Italia questa lotta di lungo periodo. A Gislaine, a Ivanilde, a Gabriela, a Paola, a Dirce e a tante altre che non si sono mai arrese e che ci hanno insegnato cosa è la passione politica e la militanza come scelta di vita. Grazie davvero. Viva Lula, viva il Pt.

Arturo Scotto

Nato a Torre del Greco il 15 maggio 1978, militante e dirigente della Sinistra giovanile e dei Ds dal 1992, non aderisce al Pd e partecipa alla costruzione di Sinistra democratica; eletto la prima volta alla Camera a 27 anni nel 2006 con l'Ulivo, ex capogruppo di Sel alla Camera, cofondatore di Articolo Uno di cui è coordinatore politico nazionale. Laureato in Scienze politiche, ha tre figli.