Il Parlamento europeo ha votato la fiducia a Ursula von der Leyen, nuova presidente della Commissione europea. Un voto molto difficile, con uno scarto limitatissimo, che acuti osservatori di fatti europei hanno definito un “pasticcio” e che mette in evidenza i problemi e i contrasti che la nuova presidenza si troverà dinnanzi nel suo procedere.
Nei giorni scorsi, dopo una prima opaca presentazione al Parlamento europeo, von der Leyen ha inviato una lettera indirizzata ai vari gruppi politici del Parlamento (con qualche modifica a seconda del gruppo a cui si rivolgeva, s’intende) che sembra sia stata decisiva per farle ottenere il quorum necessario. Inutile chiedersi se questa lettera sia abbastanza per cambiare le sorti dell’Unione europea, o se invece è semplicemente servita a offrire un alibi politico per il voto positivo dei diversi gruppi.
Forse serve ripercorrere le tappe che hanno portato all’esito di ieri. Non dimentichiamo, infatti, che la scelta del Consiglio con cui ha individuato la candidata von der Leyen è stata assolutamente priva di trasparenza. Si è discusso per anni del sistema degli Spitzenkandidaten, che avrebbe potuto riportare l’elettorato europeo al centro delle decisioni cruciali dell’Unione, come quella che individua la guida della Commissione. E invece questo sistema è stato definitivamente cancellato, tradito, scegliendo di fatto una persona che non ha partecipato alla contesa elettorale europea e compiendo così un passo indietro rispetto a una maggiore democratizzazione di questi passaggi chiave. Nella sostanza, ha vinto di nuovo, e con più forza, il metodo intergovernativo su quello comunitario.
A tutto ciò è doveroso aggiungere che la scelta compiuta di escludere una forza politica come quella rappresentata dai Verdi è da considerarsi un grave errore politico. Oggi l’Europa si trova a dover compiere la stessa scelta che ha sempre dovuto affrontare: imbarcarsi nell’unione politica oppure allentare quella economica. L’attuale classe dirigente europea per troppo tempo è rimasta bloccata in un approccio intermedio che risulta essere instabile e afflitto da tensioni. Aggrappandosi a una visione di Europa che si è rivelata impraticabile, le élites europee hanno messo a repentaglio, in questi anni, l’idea stessa di un’Europa unita, favorendo di fatto l’ascesa dei movimenti populisti e sovranisti. Molti tra i socialisti, e il voto di mercoledì lo ha confermato, temono, e noi tra loro, che con questa nuova guida alla Commissione europea si rimanga sostanzialmente in un dannoso “limbo”, quando invece serviva e servirebbe una forte discontinuità e un cambio decisivo di rotta.
Come osservato, i socialisti europei si sono presentati a questo appuntamento divisi e ciò ha rappresentato un serio problema e rischia di esserlo per il futuro. Del resto, in questi ultimi quindici anni, i socialisti hanno votato prima a favore di Barroso, poi di Junker e ora si trovano a sostenere Ursula von der Leyen. Abbiamo l’impressione che sia alquanto difficile spiegare all’opinione pubblica europea e nazionale, e soprattutto agli elettori di Sinistra, che si è in presenza di un cambio di paradigma. Vedremo comunque nei prossimi mesi se davvero cambierà qualcosa o se, come temiamo, tutto rimarrà come sempre.
In ogni caso, e a maggior ragione, si ripropone, e pensiamo sia venuto il momento di farlo, l’esigenza in Italia e in Europa di aprire un approfondito dibattito tra le forze socialiste progressiste per affrontare il tema del futuro politico dell’Europa. È un invito che facciamo in Italia soprattutto al PD e in Europa al Partito Socialista Europeo. Nelle recenti elezioni europee abbiamo condiviso un tragitto comune, ora pensiamo si tratti di dare continuità di confronto e discussione a quel tragitto. Del resto è difficile immaginare di essere alternativi e costruire un’alternativa alla destra in Italia se il discorso europeo non trova finalmente una sua centralità nel quotidiano agire politico.