Ma perché la sinistra non può avere un suo giornale? Cosa lo impedisce? I costi? Il fatto che i social ormai si siano mangiati tutto, anche la nostra anima? Oppure il fatto che il cartaceo è superato, non fa più tendenza? O, ancora, la strana idea che il giornale debba essere necessariamente “grande” sennò non è? Sono tutte ragioni risibili. In fondo, a che serve un giornale, solo a informare oppure anche a contribuire alla costruzione di una comunità politica, rafforzando senz’altro quel minimo di organizzazione che già c’è?
A noi oggi manca la “linea”. Per “noi” intendiamo soprattutto quelli che chiamerei influencer politici, legati alla sinistra, più specificatamente all’area di ‘Articolo Uno’. Così come ‘l’Unità’ era il cibo quotidiano della classe dirigente a tutti i livelli del PCI (dal Bottegone alle cellule di borgata), un giornale oggi sarebbe la piattaforma politica e culturale della battaglia quotidiana di tanta classe dirigente diffusa, non solo di quella già cristallizzata in una forma-partito.
Da tempo immemore è la linea a indicare una prospettiva, a unificare le forze, a dare corpo a un’idea. È la linea a unire. E l’unità in politica è tutto. Ovviamente per “linea” non intendiamo un comando politico secco, piuttosto l’effetto finale di un dibattito, la sintesi provvisoria di un’articolazione di opinioni, l’esito di una discussione pubblica che il giornale renderebbe visibile a tutti. La linea è il segno che c’è un’organizzazione, essa testimonia la presenza di un soggetto politico che tende a rafforzare la propria soggettività e a operare praticamente, e non solo germinando idee, quanto praticandole nel vivo della vita quotidiana.
E poi non dimentichiamo che c’è una funzione pedagogica da assolvere. C’è una rete di discussione verticale da tessere ogni giorno. L’intellettuale comunista (ma anche quello di tradizioni popolari, cattoliche) ha sempre avuto una vocazione pedagogica, ha sempre svolto il compito di spiegare, esporre, illustrare, “arrotondare” discussioni altrimenti incomprensibili, temi sennò fuori portata, universalizzando gli eccessi specialistici e settoriali. L’intellettuale di sinistra (che oggi agisce anche sui social, per esempio, in un andirivieni quotidiano di post e commenti) non tendeva a ricercare la solitudine ma il contatto con gli altri, la verifica quotidiana delle scelte politiche, il dialogo aperto col ‘popolo’ dei lavoratori, la ricerca testarda della sintesi e della semplicità difficile a farsi. Questo era possibile perché c’era una stampa di partito, un foglio quotidiano, una rete di riviste. Strumenti essenziali per la circolazione della discussione, per esprimere autonomia di pensiero e di argomentazione, per non finire ostaggio dei quotidiani “borghesi”, per non essere voci isolate e frustrate.
Anche oggi il tema è lo stesso. Senza uno strumento di sintesi, questa classe dirigente diffusa fatica a orientarsi, è meno gruppo, meno comunità. È anche meno influencer. Certo un foglio non basta, serve come minimo un’organizzazione: la formula è dunque un soggetto + un foglio. Per ridare consistenza, corpo, alle parole che sprofondano sui social e che non hanno più alcuna eco nelle sezioni-circoli, ormai ricordi antichi. Non serve un quotidiano da 300.000 lettori, un’impresa economica insostenibile, che spulci nelle tendenze, nelle mode, nella chiacchiera. Bastano molti ma molti meno lettori. Basterebbe raggiungere almeno la cerchia dei nostri compagni-amici-lettori più attivi, migliaia e migliaia di persone che vivono e agiscono nel Paese “profondo”, per ricreare un amalgama, dare vita a un nocciolo che aggreghi opinioni e idee, e che aiuti la politica a essere prassi quotidiana, non solo galleggiamento tecnico o teorico.
Per dire. Ma perché il Magazine di ‘Articolo Uno’ non diventa un pdf periodico, e poi quotidiano, e poi pian piano cartaceo? Certo, rimettere in campo una testata come l’Unità sarebbe un sogno. Ma invece di restare in attesa che i sogni si realizzino, l’idea di un pdf “Articolo Uno” sarebbe un buon inizio. Crediamo che sarebbero decine i giovani pronti a lavorarci, costruendolo giorno dopo giorno. E poi ci sarebbe Chiara Geloni a offrire tutte le garanzie professionali e di passione politica. Sarebbe un lavoro troppo arduo? Ma quando mai le cose più belle sono anche le più semplici?