Dove ha governato il Pd vien giù tutto. Accanto al sistema di potere, si staglia la comunità profonda dei bisogni talvolta neppure intravisti, resi invisibili e cresciuti all’ombra della crisi, davanti a noi, non alle spalle, come mai prima. La notizia è che da domenica non ci sono più le regioni rosse. Siamo oltre la contendibilità, nella sostanziale certezza che la sinistra è diventata minoranza nella sua terra. Imola, al centro dell’Emilia-Romagna, la città di Andrea Costa, della tradizione socialista più nobile e profonda, culla di un’esperienza di governo dal 1889, a parte il ventennio fascista, risulta aver attraversato tre secoli per consegnarsi al M5S. Per certi versi, peggio di quel che accadde nel 1999 con Giorgio Guazzaloca. Almeno lui era una personalità, con un pedigree, professionale e sociale. Come allora, non credo che gli elettori abbiano voluto fare affidamento sulle capacità di governo di quelli che hanno premiato; semplicemente volevano voltare pagina.
D’altra parte la discontinuità non può essere un espediente, tanto meno dell’ultimo istante. Le operazioni cosmetiche servono a nulla. Senza una discontinuità convinta, visibile e radicale, il rinnovo delle amministrative e delle europee del prossimo anno, e poi delle regionali sarà un altro bagno di sangue. Avanza la destra a traino sovranista. Ma non è solo un confronto nuovo/vecchio. Se no non si spiega l’affermazione di Claudio Scajola a Imperia. Non basta predicare l’umiltà di chi non sa che dire. Né far battute accattivanti per il circo mediatico. Occorrono pensieri capaci di parlare alle tante persone che hanno problemi seri, veri. In questo passaggio, nel sistema ancora apparentemente tripolare, la politica ci ricorda, per l’ennesima volta, una cosa del tutto ovvia, semplicissima: nei ballottaggi, due fa più di uno. La somma di centrodestra e M5S sbaraglia. Anche per questo è stata una grave responsabilità non aver provato, quando è stato il momento, a tener separati M5S e Lega. Esce sconfitta la strategia del pop corn. Non solo le politiche degli ultimi anni, anche quella degli ultimi mesi. Il vento di destra, certo, spira da tempo, dalla Brexit a Trump, quel vento di fronte al quale non ha retto un profilo di governo che pensava di affrontare le questioni a colpi di bonus.
Ma il fatto che l’alternativa continui a non risultare credibile non rende meno grave la situazione di un governo in grado, sin qui, di agitare i problemi, in un quadro dubbio di relazioni internazionali, con dichiarazioni sconcertanti su più fronti, dai diritti civili alla sequenza tra chiusura dei porti, rottura dei rapporti con le Ong, annuncio di campi di detenzione per gli immigrati, demonizzazione di Rom e ai Sinti, sino alla minaccia di togliere la scorta a Saviano. Senza mai un cenno al tema della lotta a mafie e criminalità organizzata. Con il conseguito capolavoro di aver isolato l’Italia dai principali partner europei. Una luna di fiele più che di miele. Sotto l’ombra di un nuovo soggetto politico, il partito illiberale di massa, securitario e giustizialista.
A volte si dimentica che la Lega è il più antico partito del panorama politico italiano. Nasce come Lega Lombarda nel 1982, nel 1991 diventa Lega Nord, dalle ultime elezioni si identifica nel capo. Ha una collocazione internazionale; anche se più verso Visegrád che a Occidente. Riferimenti sociali, soprattutto nel nord produttivo e pragmatico. Esperienze amministrative nelle città, piccole e grandi, nelle province, nelle regioni. Nell’ultimo quarto di secolo, dalla fine della prima Repubblica, ha governato, con Berlusconi, almeno 10 anni. Salvini oggettivamente sovraesposto, in un’escalation nella quale le parole non hanno bisogno di fatti: sono fatti esse stesse: e pretendono, ogni giorno, eccessi verbali ulteriori. Non si vede una ricaduta sul piano né della composizione né della soluzione dei problemi: solo una sovrapposizione esasperata tra il ruolo di leader di partito e quello di ministro dell’Interno. Distintivo al bavero compreso; ma questo succedeva anche ai tempi di Bossi, Calderoli e Maroni.
Spiega il comma 2 dell’articolo 1 della Costituzione: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». La sovranità “appartiene” al popolo, è un suo bene, un suo possesso. Ma si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, cioè della legge. Ogni forma di sovranismo è fuori dall’idea di sovranità costituzionale. Uno dei punti di debolezza di questa destra è il contrasto con un patrimonio normativo che rimanda alla centralità di questi valori. Invece la sinistra deve stare lì, con la la sovranità popolare. E’ una stagione che investe, nella sconfitta, tutta la sinistra. Non c’è lembo che ne sia risparmiato. Bisogna essere coscienti di questo. Non si tratta di posizionamenti. C’è un tema di fare. Ma anche di pensare. Di riflettere su questioni che non possono sempre cedere il passo al prossimo tweet o alla prossima agenzia. Identità. Cultura politica. Nessun estetismo. Non c’è alcuna bellezza nelle rovine. C’è un Paese in difficoltà affidato a degli apprendisti stregoni. Ma quando il cumulo delle macerie si fa così consistente, sino a diventare un ingombro anche per il minimo passo, forse è il caso, per ricostruire, di immaginare bene la casa del futuro, a partire dalle fondamenta.