Ritengo il documento su cui discutiamo (Una forza rosso-verde per garantire l’alternativa alla nuova destra) un buon tentativo, ormai indispensabile, di mettere nero su bianco nostre idee-forza, nostre proposte, nostre “visioni”. E non mi accodo a chi lo giudica un documento illeggibile perché lungo. Si tratta di una sorta di Tesi congressuali, in un documento costitutivo che dà il la a una discussione per la creazione di un soggetto politico rosso-verde, mi piace che sia stato definito così.
Anzi, a mio avviso è carente e fin troppo generico e sbrigativo su alcuni punti, come ad esempio il punto 15, relativo alla conoscenza, ai saperi, su cui io e altri compagni abbiamo presentato una proposta di integrazione.
Voglio piuttosto richiamare la vostra attenzione su un altro tema che mi sta a cuore, e che il documento, al punto 14, bene evidenzia: la questione meridionale.
Interessante, lucida, corretta, nel documento, la funzione politica, sociale, economica del Mezzogiorno e del suo rapporto tra Europa e sponda sud del Mediterraneo.
Il rapporto 2018 della SviMez pubblicato già da varie settimane, ricorda, tra le altre cose, che il considerare (come ancora qualcuno afferma) il Mezzogiorno come una sorta di zavorra per lo sviluppo della parte più ricca d’Italia, sia un bestialità.
Il mercato di destinazione del Sud, solo per fare un esempio, genera al Nord una ricchezza di circa 200 miliardi. E, ancora, sottolinea la questione delle risorse umane, delle intelligenze, che da Sud emigrano al Nord. Nel 2016-2017 un quarto degli studenti residenti nel Mezzogiorno iscritti alle Università, lo ha fatto in Università del Nord. 175.000 ragazzi e ragazze del Sud vivono e studiano al Nord, spostando circa 3 miliardi di consumi, pubblici e privati, da Sud a Nord, senza tener conto dei circa 2 miliardi che, stima la SviMez, sono stati necessari per formarli fino alle soglie dell’università: soldi spesi dal Sud, i cui frutti verranno utilizzati al Nord, che invece non ha speso neanche un centesimo per quei giovani.
Sud e Nord, quindi, secondo la SviMez, crescono o arretrano insieme.
Il Mezzogiorno, quindi, non può essere considerato una zona periferica, ma il centro della storica grande via del Mediterraneo. Questa è la grande occasione che l’Europa tutta, non solo il governo italiano, deve cogliere. Questa prospettiva appare purtroppo molto sottovalutata.
Cosa sta accadendo in realtà? Una vera e propria rapina del Nord ai danni del Sud è in corso da molti decenni almeno. Se mai è terminata, a partire dal 1861. Servizi essenziali come gestione e manutenzione del territorio, trasporti, turismo, sanità, scuola, università, massacrati da tagli lineari, hanno subito una ulteriore e grave divaricazione tra Nord e Sud, minando l’uguaglianza dei cittadini e il principio di equa ripartizione delle risorse, tesa a favorire lo sviluppo dei territori in difficoltà.
Tutti avete letto o almeno visto il recentissimo libro Zero al Sud, in cui Marco Esposito raccoglie e descrive impietosamente una serie di interventi e comportamenti da far inorridire.
Come finanziamo, ad esempio, asili e asili nido? Facile: chi ne ha già tanti, ha bisogno di molti soldi; chi ne ha di meno significa che non ne ha bisogno; fino ad arrivare al fatto che chi non ne ha NESSUNO, ha bisogno di ZERO euro. Si, proprio ZERO euro. Incredibile? È già così, purtroppo. E stabilito da governi di centrosinistra. Casoria, solo per fare un esempio, grande comune della provincia di Napoli, con 80.000 abitanti, e con una potenziale necessità di asili nido per circa 2500 bambini a 0 a 2-3 anni, riceve 0 (ZERO) euro per asili nido.
Si aggiunga adesso l’imminente cosiddetta secessione dei ricchi, la richiesta, possibile secondo le norme di riforma del Titolo V della Costituzione, varate da governi di centrosinistra, di regionalismo differenziato, un regionalismo “à la carte”, da parte di Veneto e Lombardia (l’Emilia-Romagna seguirà a ruota, altre Regioni si stanno attrezzando…).
Sapete cosa i cittadini italiani non sanno? Sapete su cosa il Veneto chiede di avere potere esclusivo? Ecco:
offerta formativa scolastica, contributi alle scuole private, fondi per l’edilizia scolastica, diritto allo studio e la formazione universitari, cassa integrazione guadagni, programmazione dei flussi migratori, previdenza complementare, contratti con il personale sanitario, fondi per il sostegno alle imprese, Soprintendenze, valutazioni sugli impianti con impatto sul territorio, concessioni per l’idroelettrico e lo stoccaggio del gas, autorizzazioni per elettrodotti, gasdotti e oleodotti, protezione civile, Vigili del Fuoco, strade, autostrade, porti e aeroporti, partecipazione alle decisioni relative agli atti normativi comunitari, promozione all’estero, Istat, Corecom al posto dell’Agcom, professioni non ordinistiche. E altro, perché l’elenco è incompleto.
In questo modo, verrebbero espropriati della competenza statale tutti i grandi servizi pubblici nazionali e verrebbe meno qualsiasi possibile programmazione infrastrutturale in tutto il Paese.
Il Veneto propone di calcolare i fabbisogni standard tenendo conto non solo dei bisogni specifici della popolazione e dei territori (quanti bambini da istruire, quanti disabili da assistere, quante frane da tenere sotto controllo e mettere in sicurezza, eccetera), ma anche del gettito fiscale, cioè della ricchezza dei cittadini.
Tale richiesta è EVERSIVA. Il termine è forte, ma non ne ho trovato uno che la descrivesse così bene.
In pratica i diritti (quanta e quale istruzione, quanta e quale protezione civile, quanta e quale tutela della salute) saranno beni di cui le Regioni potranno disporre a seconda del reddito dei loro residenti. Una proposta EVERSIVA, dunque.
Dal 2001 nessun governo ha trovato il tempo di definire i cosiddetti LEP, i Livelli Essenziali delle Prestazioni sociali e civili da garantire, in maniera omogenea e diffusa su tutto il territorio nazionale, cioè a TUTTI.
Se non si sa quanto costano i LEP, come si può stabilire l’entità delle risorse da assegnare alle regioni per garantirne il godimento ai cittadini?
Chiediamo con forza a tutti i nostri parlamentari, di qualsiasi schieramento politico, in primis ovviamente ai nostri-nostri, di mobilitarsi perché ciò non avvenga. Che qualunque decisione venga presa in Parlamento, non, come ancora chiede il Veneto, da una commissione Italia-Veneto; che i cittadini siano ampiamente informati su quello di cui si discute; che nessun trasferimento di poteri e risorse a una Regione sia attivato finché non siano definiti i LEP (articolo 117 della Costituzione); che il trasferimento di risorse sulle materie assegnate alle Regioni sia ancorato esclusivamente a oggettivi fabbisogni dei territori, escludendo ogni riferimento a indicatori di ricchezza.
La componente leghista del governo cerca invece di operare come un Robin Hood alla rovescia, toglie ai poveri per dare ai ricchi, come ho descritto prima, in un generale clima di disattenzione, come ha più volte denunciato Gianfranco Viesti, e come, molto più modestamente, ho cercato di fare anche io, con convegni, interventi, dichiarazioni, scritti. (Lo sceriffo leghista vigila sulla secessione dei ricchi, di Gianni Cerchia e Giuliano Laccetti, Left, n. 43, 26 ottobre 2018, pag. 22-23). Tale clima di disattenzione generalizzata è alimentata dall’inconcludente inadeguatezza dei 5S, e dalla sostanziale inazione delle forze democratiche e progressiste.
Ben vengano, dunque, le azioni che sta cominciando a mettere in campo Articolo Uno, a partire dalla mozione presentata alla Camera, primo firmatario Federico Conte, ai continui interventi, in parlamento e nel paese, di Guglielmo Epifani, Michela Rostan, Arturo Scotto, Massimo Paolucci, fino, appunto, alla decisione di inserire un significativo e irrinunciabile punto nel nostro documento.
Questione meridionale, dunque, di nuovo al centro dell’agenda politica nazionale: coniugata in termini di welfare, ma anche di trasporti e infrastrutture; in termini di sviluppo e occupazione, ma anche in termini di istruzione, scuola, università.
Sono necessarie nuove politiche pubbliche, un programma di governo che segni una discontinuità netta con presente e passato, rilanciando nel contempo un progetto europeista che cambi di 180 gradi la rotta della governance continentale, costruendo una Europa davvero sovrana, (Per uscire dalle secche del dibattito sul populismo, di Giuliano Laccetti, Left magazine online, 12 novembre 2018) con istituzioni democratiche, e che abbia a cuore la felicità e il benessere dei suoi cittadini. Per governare i grandi processi sovranazionali, garantire solidarietà e redistribuzione, contrastare le degenerazioni e gli egoismi localistici, retrivi, antidemocratici, e perciò pericolosi per i popoli d’Europa e del mondo intero. Ecco, questa deve essere la nostra sfida.