Stamane ho partecipato all’assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori della Whirlpool a Napoli. Dopo una vertenza durata quasi tre anni, una battaglia sindacale che ha parlato all’intero paese, un messaggio di dignità e di coraggio che non ha precedenti, il clima era pesantissimo. E la rabbia più che giustificata.
Il combinato disposto delle lettere di licenziamento e la sentenza del Tribunale che non riconosce come illegittimo il comportamento antisindacale dell’azienda è oggettivamente un colpo durissimo. Che non va sottovalutato, soprattutto sul terreno della tenuta sociale di centinaia di famiglie. Soprattutto dal governo.
È ora che si convochi un tavolo con i ministri Giorgetti e Orlando che dica qualche parola certa e definitiva. La prima è che il Consorzio che rileverà il sito di Via Argine dia garanzia di solidità, assorbendo tutte le maestranze ed evitando di rivelarsi come l’ennesimo passaggio a vuoto di soldi pubblici spesi senza una prospettiva duratura.
La presenza di Invitalia rappresenta una importante novità, che può diventare un modello anche per altre crisi aziendali, ma deve essere una presenza incisiva sul terreno dello sviluppo e dell’innovazione. Serve un piano industriale che detti finalmente i tempi e i contenuti della nuova ripartenza.
Il secondo punto si chiama continuità occupazionale. In sostanza, significa che quei lavoratori non possono essere lasciati soli nella lotteria delle nuove assunzioni al Consorzio. Nessuno deve ricominciare daccapo la propria carriera professionale. Bisogna garantire che siano i primi ad essere assunti e che non perderanno i diritti acquisiti nel corso degli anni, a partire dal fatto che non entreranno nel nuovo consorzio con il Contratto Jobs Act.
È chiaro che la scelta di Whirlpool di procedere con i licenziamenti – venendo meno anche alle promesse fatte ai sindacati e al Governo – recide il legame di continuità tra la vecchia e la nuova iniziativa industriale e dunque una cessione di ramo d’azienda ordinata e governata insieme.
A maggior ragione va studiato per i prossimi mesi – dal 15 dicembre, data in cui dovrà partite il nuovo consorzio, all’estate prossima, quando effettivamente si dovrebbero avviare le nuove linee di produzione – un contenitore provvisorio che garantisca formazione e tutele.
Questi due punti sono decisivi. Sono poco più di venti giorni prima che i licenziamenti divengano effettivi e il contatore purtroppo corre veloce. Dire loro “o vi trasferite nello stabilimento di Varese, se volete continuare a essere operai della Whirlpool, o vi prendete una buonuscita di 85000 euro e finisce la storia” rappresenta una vera e propria alternativa del diavolo. Ovvero non è un’alternativa, ma un ricatto.
Perché salvare quei lavoratori significa preservare la possibilità che esista ancora un’insediamento industriale nella capitale del Sud nel momento più difficile della sua storia recente, come emerge anche dall’allarme lanciato dal nuovo sindaco di Napoli Gaetano Manfredi sull’emergenza debito. Perché una città che non produce nulla è una città che non ha futuro e che rischia di essere esposta a scorribande speculative e alle aggressioni di una criminalità organizzata che ha rialzato pienamente la testa sul piano economico durante la fase pandemica. Perché Napoli è innanzitutto una grande città industriale e non è accettabile la rappresentazione folcloristica di un paradiso della pizza, della sfogliatella e del babà.