Un silenzio inquietante intorno a Gazebo dopo l’intimidazione di Alfano. E non c’è niente da ridere

| Lo Spuntino

Stavolta non c’è proprio niente da ridere. L’attacco frontale del ministro degli Esteri Angelino Alfano alla trasmissione televisiva Gazebo ha tutta l’aria di un atto di arroganza e di intimidazione. Bersagliato per mesi dalla satira feroce, ma assolutamente corretta, di Diego Bianchi, Makkox e Andrea Salerno, Alfano ha atteso la fine della trasmissione non solo per annunciare una querela, ma anche e soprattutto per lanciare un messaggio chiaro e preoccupante: Gazebo deve sparire dalla TV pubblica.

Quella avviata dal partito di Alfano somiglia in modo inquietante ad una chiara operazione di normalizzazione. Gazebo per Alfano è intollerabile, non perché lo prende di mira, ma perché non lo prende sul serio, eppure lo mette alla berlina in maniera serissima. Perché lo smonta, gli punta addosso un faro impietoso, che ne illumina le rughe del ridicolo.

L’establishment, d’altronde, si sa, non tollera la presa in giro, il contropelo, la lettura grottesca. Il potere non ha senso dell’umorismo, men che meno dell’autoironia. Non intende subire l’affronto, lo sberleffo, non autorizza il controcampo che svela il dettaglio comico, non consente il fermo-immagine che blocca all’infinito l’espressione buffa e denuda in un lampo la solennità posticcia.

Che ne sarà adesso di Gazebo? L’offensiva di Alfano giunge alla fine di una stagione straordinaria, che ha fatto ridere, discutere, pensare. Gazebo è stata una perla nel mare ripetitivo della produzione Rai, una trasmissione innovativa, che ha capito per prima di tutti la centralità dei social, che ha saputo leggere e spiegare come nessun altro la comunicazione pubblica, che ha seguito i grandi snodi della vita politica, ma anche la tragedia del terremoto, il dramma dei migranti, l’esaltazione del renzismo e il tracollo del 4 dicembre. Una trasmissione meritoria, che è cresciuta negli anni e che pure sembra ancora un corpo estraneo, in una Rai sempre più timorosa di non dispiacere al potere.

Ora sembra giunto il momento di espellere quel corpo estraneo. Questo chiede, nei fatti, il partitino di Alfano. Basta notare il continuo riferimento nel comunicato al fatto che Gazebo va in onda sulla Rai, cioè sulle reti del “servizio pubblico”, cioè, secondo l’analisi grossolana del partito di Alfano, “a spese del contribuente”. Il messaggio è quindi politico, ed è chiaro: fuori. La Rai è del governo, la Rai è dell’establishment, chi si permette di prenderci per i fondelli deve essere preso e accompagnato all’uscita.

Di fronte ad un attacco pesante e maledettamente serio, intorno a Gazebo regna in questi giorni un silenzio inquietante. Il silenzio dei giornalisti, il silenzio incredibile della Rai, l’indifferenza generale. Anche il silenzio della politica, a conferma del fatto che togliersi dai piedi una trasmissione libera e scomoda, in fondo, non dispiace a molti. Nessuno reagisce, nessuno difende la libertà di espressione, prima ancora che la libertà di satira. Sembra quasi inevitabile che la vendetta di Alfano verrà realizzata, che Gazebo tornerà, forse, ma non sugli schermi della Rai.

E’ sorprendente soprattutto che la Rai non abbia ancora reagito a questa offensiva. Che non abbia detto nulla per difendere le proprie scelte editoriali, le proprie trasmissioni. Soprattutto: che non abbia difeso la libertà di sorridere, di dissacrare, di raccontare la politica da un punto di vista diverso, anche e forse soprattutto dagli schermi della TV pubblica. La storia della Rai è piena di censure, di trasmissioni chiuse e poi riabilitate nei decenni successivi: dobbiamo aggiungerne un’altra? Sarebbe bello se, in risposta ad Alfano, Raitre annunciasse da subito l’intenzione di confermare Gazebo per la prossima stagione.

Poldo

Poldo crede nei piccoli spunti. E negli spuntini.