La recente e seguita trasmissione “Presa Diretta”, in onda su Rai3, che di solito costituisce una felice eccezione all’interno di un panorama generale caratterizzato da un conformismo dilagante e in cui per di più ci si rifiuta di affrontare temi “difficili”, ha dedicato l’ultima puntata, intitolata “Cambiamo la scuola”, al sistema di istruzione italiano.
A questo proposito intendo evidenziare alcuni aspetti che ho giudicato superficiali e sbagliati.
Anzitutto ritengo che sia destituita di ogni fondamento la tesi portata avanti nei vari servizi e interventi, senza contraddittorio alcuno, che ha denunciato una presunta arretratezza della scuola pubblica italiana, la quale sarebbe restia ad adottare metodologie innovative ed efficienti.
In secondo luogo sottolineo come si sia verificato un utilizzo alquanto superficiale e, in alcuni casi, errato di dati statistici italiani ed europei sulla “preparazione” degli studenti. Questo metodo non aiuta a discernere la reale situazione e sembra fatto ad arte per affermare una unica posizione ideologica che, per semplicità ed esigenza di sintesi, potremmo definire di tipo neoliberista.
Inoltre, si fa notare che l’oramai scontato e atteso (e difatti… non è mancato) riferimento alla “mitica” Finlandia che vede i suoi studenti in testa alle varie classifiche di “qualità” e competenza” non ha indicato, come qualsiasi “scienziato” o “esperto” di statistica, ma finanche “semplice” giornalista dovrebbe fare, il contesto istituzionale, civile, sociale, economico, produttivo, in cui si inserisce il sistema scolastico finlandese.
Ad esempio non ha posto in evidenza che la Finlandia riserva alla scuola quasi il 3% di PIL in più rispetto all’Italia. Solo il 3% del PIL in più, per l’Italia, significherebbe destinare ben 50 miliardi aggiuntivi alla scuola, che potrebbero portare alla riduzione/eliminazione del gap Sud/Nord; all’aumento del numero dei docenti, con conseguente eliminazione delle cosiddette “classi pollaio”; all’incremento dello stipendio degli insegnanti, che (ri)acquisterebbero l’importante e autorevole ruolo civile e sociale che loro compete, eccetera.
Infine, faccio notare come l’accettazione o, addirittura, l’esaltazione acritica, di forme di valutazione standardizzate, utilizzate variamente nel mondo (e in questi ultimi anni oggetto di discussioni, critiche, ripensamenti da parte di una larga comunità scientifica internazionale così come di vari governi che le hanno adottate), non ha tenuto conto di posizioni ormai consolidate che richiedono un ripensamento e/o una discussione sulla “cultura della valutazione” in sé.
Credo che sia opportuno portare avanti con il Dipartimento Nazionale Scuola Università Ricerca la discussione su questi (e altri temi), anche incontrando i neo-ministri Azzolina e Manfredi, nonché i viceministri e sottosegretari, Ascani e De Cristofaro, per illustrare loro le nostre posizioni, idee e proposte politiche.