Se c’è qualcosa che questa pandemia ci sta insegnando è che non si può pensare di uscirne se non attraverso uno sforzo collettivo, fatto di piccoli e di grandi passi, di comportamenti e di attenzioni: un insieme di cose che non possono essere pensate riversando il proprio pensiero sull’io, sulla tentazione del me la cavo da solo. No, questo maledetto virus ci obbliga a capire che siamo una collettività, che davvero, più che mai in questo frangente, nessuno si salva da solo.
Siamo passati dalla gioia piena di speranza dei canti sui balconi all’esasperazione e alla stanchezza, alla sfiducia e anche alla disperazione, ed è naturale dopo un anno di privazioni che per molti, per tanti, ha rappresentato sofferenze vere, materiali e psicologiche; un anno davvero terribile del quale ancora non si vede la fine.
Non c’è categoria sociale che non sia stata pesantemente toccata dai sintomi, che sono collettivi, di questa pandemia. Non c’è famiglia che non abbia subito sottrazioni gravi.
Le risposte a questa eccezionale ondata malevola data dai governi e dalle istituzioni non sempre sono state tempestive e in grado di lenire le ferite profonde che si sono create e che non si rimarginano ancora, ma nella crisi acuta che il virus è riuscito a scatenare molte cose sono state fatte e oggi lo sforzo per quantomeno arginare lo sconquasso all’economia è accompagnato da quello della campagna vaccinale che sta procedendo e, checché se ne dica, nel nostro Paese più speditamente che nel resto d’Europa.
Sicuramente è comprensibile che ci siano momenti di insofferenza verso le restrizioni che ci sono imposte, momenti in cui ognuno di noi pensa “non ne posso più”, purtroppo però la lunga maratona che si deve percorrere per uscire da questo girone infernale non prevede scorciatoie e soprattutto non può essere risolta con azioni individuali o di gruppi ristretti, né può essere portata a termine con iniziative estemporanee di spezzoni di società: o la si affronta assieme o la si perde, non si arriva la traguardo.
Una maratona si affronta con regolarità, con cadenza programmata se la si vuole concludere, la velocità è altro e la si esercita su percorsi brevi; qui siamo di fronte ad un percorso lungo, non sappiamo neppure quanto, e questa è una maratona che non è possibile correre in solitaria: occorre percorrerla tutti insieme perché questa volta non la vince uno solo, o la vinciamo tutti o non la vince nessuno.
Quello che stiamo vivendo è qualcosa che assolutamente va messa in comune, così come in comune vanno messi i problemi di tutti, così come in comune vanno messi i passi, certamente faticosi, che dobbiamo calcare sul terreno sostenendoci e stimolandoci a vicenda.
Mettere in comune, gioie, sofferenze, traguardi e difficoltà.
Questo noi lo chiamiamo socialismo, quella cosa che da ormai quasi due secoli, ora osannata ora vituperata, è sempre viva.