Cos’è mancato in questi mesi al processo di fondazione di un partito nuovo della sinistra? Parrà una tautologia, ma è mancato proprio il partito. Ossia il soggetto, l’organizzazione, la forza che avrebbe dovuto avviare, guidare, dirigere il cammino verso il partito stesso. Il processo è stato realizzato al contrario, ossia tentando di unificare quel che c’era, atomi distanti e pieni di sé, passando per la cruna dell’ago di una lista elettorale. Quando invece bisognava dare corpo subito a un’organizzazione vera e propria, che si facesse carico di indicare una direzione e aprisse le porte ad altri soggetti e movimenti, per dare vita a una sinistra popolare e di governo, senza chiusure identitarie né richieste di certificazioni ideologiche. Un partito, un soggetto che non si ergesse a tutela della propria identità e dei propri confini, ma al contrario forzasse quei limiti e quei confini per accrescersi, aprirsi, ampliarsi e, in un certo senso, negarsi. Le tesi dicono bene: serve un’organizzazione, un partito che sappia andare oltre se stesso. Un partito che si neghi, appunto, non si contenti delle proprie auguste piccolezze, non tenti soltanto di intercettare e conquistare l’altro ai propri progetti. Per fare tutto questo serve un soggetto che sappia trascendersi, andare oltre, e quindi negarsi progressivamente per costituirsi un giorno, al termine di un percorso di ricerca e di militanza, come forza politica più grande, plurale, ampia, democratica.
Un movimento può avere una natura spontanea, può anche essere il frutto di eventi e pulsioni istantanee, ma un partito è un’altra cosa: nasce dall’alto, con una iniziativa responsabile, non per autoconvocazione dei militanti, per spirito assembleare o per germinazione dal basso. Nulla nasce dal nulla, ossia dall’assenza di direzione, iniziativa e spinta di un gruppo ampio o ristretto di dirigenti e militanti che se ne facciano coraggiosamente carico. L’alternativa è, appunto, l’autoconvocazione oppure una fase costituente sparsa, una ricerca infinita, una magma di cose prive di soggettività e di direzione. Senza la direzione e la spinta di un soggetto anche la ragione più alta dilaga verso il nulla, si riduce a esercizio retorico o accademico o ideologico. Viceversa, senza una ragione (un dibattito, una ricerca, una ‘strutturazione’) il soggetto (se c’è) è pura manifestazione di vitalismo, un po’ quel che è stato Potere al Popolo. Piaccia o meno, la modernità è la felice combinazione dialettica (e anche la lotta) di soggetto e ragione, tale che l’assenza di uno solo dei due termini produce una specie di deragliamento del processo. Lo stesso che si è visto in questi mesi. Quando la ragione è degradata a ‘dibattito’ e divenuta sempre più ‘polemica’, proprio a causa dell’assenza di un soggetto (il partito-mezzo) che guidasse il percorso di avvicinamento al partito nuovo (che è poi il partito-fine). Quando diciamo ‘soggetto’, sia chiaro, parliamo di un nucleo organizzato, di un partito pronto a tramutarsi in una cosa più grande, non di coordinamenti o comitati spesso costituiti solo nominalmente. Non vale l’obiezione che così il partito nascerebbe contro la ‘base’: anzi è vero il contrario. La ‘base’ può godere di qualche garanzia solo se c’è un soggetto che indichi la via, scriva le regole in un congresso, apra le porte a “singoli cittadini, attivisti e militanti […] forze politiche e sociali” (ancora le tesi). Crei insomma le condizioni della partecipazione attiva, con mire oltre se stesso, aperto ad altri soggetti e forze, oltre le polemiche elettorali o personalistiche di cui siamo stanchi.
Ecco perché servirebbe un congresso, non i mille rivoli che di solito seguono la sconfitta. Il congresso di un partito che dovrebbe fungere da ‘mezzo’ (“la nostra organizzazione rimane un mero strumento”, dicono anzi le tesi) per il ‘fine’ di un partito nuovo più grande, ampio, plurale, aggregante. Bisognerebbe subito togliere di mezzo i piccoli egoismi e le identità arroccate e inespugnabili, per consentire la nascita di un soggetto organizzato che funzioni da bastone rabdomante volto all’articolata ricerca del partito nuovo. Tra il congresso e l’esito finale dovrebbero esserci i dibattiti, i convegni, la ricerca, l’esperienza dei militanti, l’apertura delle sedi, il confronto aperto con il Paese, anche ‘liste’ se il contesto fosse chiaro. Tutto ciò come garanzia che il percorso possa davvero concretizzarsi in un nuovo soggetto storico. Non basta insomma che il partito-mezzo si getti alla ricerca di movimenti su cui esercitare una qualche egemonia, serve invece che questo si ‘apra’, vada oltre sé, si neghi davvero in ciò che verrà, anche grazie a un complesso lavoro di militanza e di studio delle ragioni in campo. Un lavoro politico del genere può essere affrontato con le autoconvocazioni, con un partito arroccato, geloso della propria identità, oppure a forza di comitati e coordinamenti? Può essere affrontato mentre il partner politico scarica su di te ogni colpa, e si libera da impegni non appena due schede cadono nell’urna? No. Non si può. Non è più tempo di sinistre arcobaleno, liste di opposizione residuali, collocate in qualche angolo di sinistra, spettrali. Vi sia invece un’iniziativa che ci procuri, grazie a un percorso congressuale, un partito aperto, utile a percorrere una strada difficile, che sappia fornire una rotta e liberare la discussione e la ricerca anche in termini radicali. Non serve autoconvocarsi, né servono aggregazioni orizzontali, assemblearismo o viceversa un’identità esibita accanitamente. Serve al contrario una spinta all’unità, all’aggregazione, che comporti la negazione del soggetto-partito che pure se ne fa carico come ‘mezzo’ dell’iniziativa in vista di un partito nuovo. Costituendo, finalmente, anche una nuova classe dirigente e proiettandoci, così, davvero verso il futuro.