Il centenario della nascita del Partito Comunista d’Italia ha riacceso il dibattito sulle grandi figure che di tale evento furono protagoniste. In questa discussione si inserisce il libro di David Tozzo “Umberto Terracini. Comunista eretico, radicale libero”, edito da Efesto, che, arricchito da uno scritto di Federico Fornaro e da una postfazione di Arturo Scotto, ci presenta in maniera viva ed affascinante la figura di questo nostro Padre della Patria, ci racconta la sua drammatica biografia umana e politica e analizza i tratti salienti del suo pensiero e della sua attività istituzionale, con l’ausilio delle parole di Terracini stesso.
Giovane avvocato proveniente da una famiglia della borghesia genovese, Terracini fu uno dei protagonisti assoluti della nascita e del primo radicamento del Partito comunista in Italia, dalla scissione di Livorno, passando per la fondazione insieme a Gramsci della rivista Un ordine nuovo, fino alla partecipazione al vivo e acceso dibattito del primo comunismo internazionale al fianco di personaggi quali Lenin e Trotskij.
Perseguitato e incarcerato dal regime fascista in quanto comunista ed ebreo, Terracini trascorse quasi vent’anni tra carcere e confino, prima di unirsi alla guerra di Liberazione nazionale. Proprio al periodo della prigionia nell’arcipelago pontino risale la sua espulsione dal Partito comunista, dovuta ad alcune sue posizioni considerate non in linea con l’ortodossia staliniana (si era opposto convintamente sia alla nozione di “socialfascismo” sia al patto Molotov-Ribbentrop), espulsione poi rientrata all’alba della nascita della Repubblica.
Eletto all’Assemblea Costituente, ne divenne in seguito presidente dopo le dimissioni di Saragat, offrendo un contributo fondamentale alla stesura dell’atto di nascita della nostra democrazia. Ininterrottamente membro del Senato fino alla sua morte, nel 1983, fu per diverse legislature capogruppo del Pci e concentrò la sua intensa attività politica sulla difesa della democrazia progressiva e la lotta per i diritti dei lavoratori
Cosa resta di vivo, di attuale, perfino di necessario, della biografia e del pensiero di questo grande uomo politico? Tra i tanti, tre sono, a mio parere, i punti che vale la pena di sottolineare.
In primo luogo, la relazione fortissima, inscindibile, che si dà, nella figura di Terracini, tra biografia e messaggio politico. Leggendo le pagine della sua vita e i suoi discorsi, ci si rende conto di come per lui la militanza comunista non fosse solo e soltanto una scelta ideale, ma innanzitutto un impegno valoriale ed esistenziale profondo, pagato sulla propria pelle con anni di prigionia e di lotta. Così, come ben sottolinea Tozzo, l’antifascismo e la lotta per la democrazia appaiono in Terracini tutt’uno con la sua scelta preferenziale per gli ultimi, per gli esclusi, per coloro cui l’orizzonte comunista deve offrire una possibilità di redenzione.
In secondo luogo, tratto saliente della biografia politica di Terracini appare il suo essere insieme pensatore critico, autonomo e indipendente (perfino eretico, scrive Tozzo) e contemporaneamente membro organico di quel Partito comunista che, proprio a causa della sua eterodossia, arrivò addirittura ad espellerlo. Lungi dall’essere una contraddizione, questo aspetto si rivela invece fecondissimo. In un’epoca nella quale assistiamo, da un lato, alla fioritura di partiti personali, costruiti attorno all’obbedienza a un leader, costitutivamente incapaci di sopportare e valorizzare pluralismo e critica interna, e, dall’altro lato, a uomini politici talmente innamorati delle proprie convinzioni da spingersi fino al narcisismo, l’esempio di Terracini ci mostra come l’autonomia del singolo non debba necessariamente essere negata dal partito ben organizzato, ma al contrario possa esserne inverata, sintetizzata in un’unità superiore e più generale che le restituisce un senso che altrimenti da sola non avrebbe (un’efficienza e una concretezza, direbbe Terracini) in una sorta di aufhebung che rivela la ragione e il senso profondi di una militanza politica comune.
L’ultimo aspetto, infine, riguarda la natura stessa dell’esperienza comunista in Italia. La vita e il pensiero di Terracini mostrano come, al netto di errori, ritardi e ingenuità, la storia del PCI sia stata una storia di libertà e per la libertà. E questo non soltanto per il prezzo di sangue pagato durante la lotta al nazifascismo, non soltanto per il ruolo determinante giocato prima, dopo e durante la fase costituente, ma anche perché, come la biografia stessa di Terracini dimostra, il pluralismo insito in quell’esperienza ne ha fatto lievito della crescita democratica e culturale italiana. Come scrive Scotto nella postfazione al volume: “Il partito… entra nelle pieghe della società, attraverso un tessuto di luoghi e di strutture associative che gli consentono un radicamento sociale diffusissimo e inedito nelle democrazie occidentali, diventa attraverso le sue riviste ed i suoi giornali il perno del rinnovamento…della cultura italiana.” Una storia per molti aspetti irripetibile ma che costituisce ancora oggi una formidabile lezione per tutti quei partiti che aspirino a rappresentare istanze collettive di progresso e ad incidere sulla realtà.