Più che un cane che si morde la coda è un cane che si mangia vivo da sé. Più che un pallone da calcio il buco nero in cui s’è infilato.
L’annuncio della Super Lega Europea dei club più ricchi del calcio continentale è una roba che non sta in cielo ma sta perfettamente in terra, è del tutto coerente con la nevrastenica, suicida rincorsa al profitto commerciale sovrano sulla passione calcistica, contro il tempo, contro il tutto, contro tutti quanti, in fondo persino sé stessi.
La UEFA adesso si erge a paladina del popolo, a custode dell’autenticità del gioco più bello del mondo, ma assomiglia sin troppo a un ricco sultano superato da uno col tesoro ancor più sfavillante e sfacciato, a una pazza lotteria sorpassata da una col montepremi ancor più alto e folle, con la speranza che sia illimitato, che il limite sia il cielo, e magari neanche quello.
Sarà tutto sempre più grande, sempre più straordinario, sempre più straordinariamente finto come quei gelati che appaiono sui banchi, bombastici e buonissimi all’apparenza, gonfiati con insufflazione forzata di aria proprio come i palloni per andare più forte e più lontano, davvero fuori dall’ordinario dove l’ordinario l’abbiamo talmente dimenticato e perso che è lo straordinario, ad esser divenuto l’unico gusto all’ordine del giorno, e in fondo, porca miseria, è persino meno buono di quando era vero.
I club dell’élite saranno prigionieri di sé stessi, dello schema, del rettangolo di un gioco sempre più prevedibile e ripetitivo: non potranno retrocedere, come prevedono le regole, non potranno cedere, come prevede il mercato, non potranno ripensarci, come prevederanno cacicchi e cavilli stringenti, strangolanti.
Le disuguaglianze non saranno solo non più compensabili, colmabili: saranno cristallizzate e definitive. I più piccoli, i più poveri? Neanche in panchina. Il popolo? Neanche in piccionaia, i prezzi saranno troppo alti e chissà, dopo il prezzo si chiederà anche il pedigree, come in un prezzolatissimo privée, selezione per tutti all’ingresso e all’ingrasso per pochissimi.
Magari gli esiti saranno già scritti, per essere ancor più spettacolari, come quei gelati, come il Wrestling, dove tutto è previsto, e niente è mai veramente successo. Sarà veramente un successo. Gli atleti saranno anche attori, e d’altra parte già han dimestichezza tanto con tanti prodotti di bellezza, quanto con gli studi televisivi in cui pubblicizzano prodotti di tutti i tipi.
Non si tratta, tuttavia, che d’uno specchio. Lo specchio dei tempi.
Tempi tutti storti, in cui il neoliberismo è dio, e il profitto il suo profeta.
Tempi in cui non c’è mai tempo e non possono esserci tempi morti. Tempi più eternamente morenti che mai moderni.
Tempi che si e ci mangiano vivi, anzi già morti.
Tempi supplementari già persi ai rigori prima del fischio d’inizio d’una partita truccata. Dove più ci si trucca meno tutto questo spettacolo è bello.
Si scrive calcio, si legge capitalismo, bruttezza.