Monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma, il terribile rogo in cui hanno perso la vita tre giovani donne straniere, in una zona periferica della città, ha drammaticamente riportato l’attenzione sul degrado materiale e spirituale delle zone più esposte della nostra società. Che si sia trattato di una ritorsione fra bande, o peggio, di violenza razziale, il quadro di abbandono, disagio sociale, incattivimento delle persone è spaventoso.
La morte di tre sorelle, una ragazza e due bambine, nel rogo di un camper che sostava nel parcheggio pubblico di un centro commerciale a Centocelle è una tragedia enorme. Purtroppo non la prima: nel 2011 morirono quattro fratellini in una roulotte a Tor Fiscale. Sono morti che emozionano i romani ma che purtroppo non scuotono le loro coscienze, sono morti che non hanno lo stesso posto delle altre, sono morti di bambini rom. Un’infanzia che vive ai margini, vite che nascono nell’emarginazione e che si trovano subito a dover pagare colpe non loro. Non ci interessa sapere il perché del rogo, doloso o accidentale, e nemmeno sapere i trascorsi dei genitori. Ci addolora la loro morte, ci indigna sapere che una famiglia di undici persone viva in un camper nel parcheggio di un centro commerciale, davanti a tutti, e che nessuno si interessi di loro. Ci sdegna e offende il fatto che qualcuno possa dire che è una “questione di vendetta” quasi sfumando il dato che tre ragazze, di cui una di solo quattro anni, sono morte. Da qualche settimana erano nel quartiere e vivevano di espedienti, sono stati notati. È mai possibile che possiamo permettere che esseri umani vadano a frugare fra i nostri scarti nell’immondizia? Ci lamentiamo perché tirano fuori tutto e lo buttano a terra e non ci indigna sapere di persone che per sopravvivere debbono mettere la testa dentro i cassonetti. Abbiamo creato un mondo parallelo, una città fatta di ultimi: i rom che vivono nei loro accampamenti, i senza dimora negli anfratti e nei sottopassi. Più di 15mila persone delle quali ci accorgiamo solo quando la loro presenza turba la nostra vita: sporcano, rubano, sono molesti…
La città di Roma attraversa una crisi profondissima. Tre amministrazioni, una dopo l’altra, hanno dimostrato la propria incapacità nell’amministrare una città ingovernabile, rimasta senza classe dirigente e senza un piano di sviluppo o un’idea di futuro. Purtroppo, la Capitale è lo specchio della situazione generale del Paese. Che ruolo può avere la Chiesa nel contrastare questa deriva?
Alla vigilia del Giubileo della Misericordia, il cardinale Agostino Vallini – vicario di papa Francesco per la Diocesi – ha indirizzato una Lettera alla Città. Un documento con il quale la comunità ha potuto riflettere su come manifestare concretamente la consapevolezza della responsabilità di “abitare” la città e di prendersi cura della sua gente, dei suoi problemi e delle sue potenzialità. Si è trattato di un appello alle istituzioni, ai cittadini, alle forze vive del territorio e, allo stesso tempo, la manifestazione di un impegno della comunità cristiana per condividere gli affanni della città e ripartire dalle molte risorse religiose e civili presenti a Roma. Molti i temi al centro dell’attenzione nel documento, dalle nuove povertà alle questioni dell’accoglienza e dell’integrazione – basti pensare alle tensioni sociali nelle periferie romane e al dramma dei profughi – fino alla formazione di una nuova classe dirigente nella politica. Sullo sfondo, l’auspicio di una “nuova visione”. Un documento quanto mai attuale, a cui occorre dar seguito.
Papa Francesco esorta in continuazione all’impegno politico, rivolgendosi in particolare, come è naturale, ai cattolici. Mai come oggi, però, la presenza attiva dei cattolici nella politica italiana si è affievolita. Quali sono le ragioni di questo abbandono silenzioso? Come si possono riportare queste energie in campo?
C’è una forza grande di bene che attraversa Roma. È invisibile. Ma è l’anello portante della nostra città. Sono tanti i volontari che si dedicano al servizio degli altri, che puliscono le piaghe più purulente degli ultimi, che si mettono in ginocchio davanti al povero e lo curano. Ogni anno alla Caritas di Roma fanno questa esperienza più di 10mila persone, metà delle quali sono giovani delle scuole superiori. Anche questa è partecipazione, educazione alla corresponsabilità, formazione politica. Su questo stiamo ripartendo. La “presenza attiva” nei partiti si è invece affievolita perché siamo ancora in una fase transitoria: alla fine delle ideologie che ha comportato la trasformazione dei partiti nati lo scorso secolo, non si è ancora trovata un’alternativa che consenta la partecipazione. Un tempo la classe politica si formava all’interno della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista per poi emergere nell’ambito di queste organizzazioni. Ai nostri giorni, i giovani si formano con il volontariato e le esperienze di responsabilità civile, non riescono però ad emergere nel quadro dei partiti. È ancora una fase transitoria.
Papa Francesco ha riposizionato la Chiesa su moltissimi temi, mettendola all’avanguardia in una critica di sistema al capitalismo finanziario. Dalla critica ad una ‘economia che uccide’, alla denuncia di un culto smodato e idolatrico del profitto; dal richiamo ai valori della solidarietà nell’accoglienza dei migranti alla denuncia verso le ‘vite di scarto’, lasciate ai margini della società; dal monito contro la guerra e le bombe nucleari all’importanza posta sulla difesa e conservazione di Madre Natura. Le forze della nuova sinistra di tutto il mondo, a partire per esempio da Sanders, non perdono occasione per citare il Santo Padre. Cosa ne pensa?
Papa Francesco incarna la Dottrina Sociale della Chiesa: su questi temi si muove in splendida comunione con tutti i Pontefici che lo hanno preceduto. Il suo valore aggiunto è la capacita di trasmettere questi messaggi: è il Papa che viene dalla fine del mondo, che parla di misericordia con il sorriso, che comunica con semplicità e franchezza, che vede il mondo attuale dalla prospettiva dei poveri, che fa del dialogo non uno strumento ma uno stile pastorale.
Il socialismo storico è stato caratterizzato, nella maggior parte delle sue declinazioni, da una cultura laicista e spesso anticlericale. Questo non è avvenuto in Italia. Pensiamo a Togliatti e Berlinguer, per esempio, e all’importanza da loro data al dialogo con le masse cattoliche. Questa frattura, fra il movimento cattolico e quello socialista, ha indebolito la battaglia comune per la difesa delle specificità dell’umano contro l’alienazione e l’individualismo capitalistici. Come possono conciliarsi la dottrina sociale della Chiesa e un nuovo socialismo nella battaglia comune per un Nuovo Umanesimo?
“Sporcandoci le mani, insieme”. Così avrebbe detto il mio predecessore, il primo direttore della Caritas di Roma, don Luigi Di Liegro, che ricordiamo a venti anni dalla scomparsa. Di Liegro incarnò lo spirito della Chiesa conciliare, con profonda spiritualità e una visione pastorale attenta ai segni dei tempi: la povertà crescente in un paese ricco e in pieno boom economico, l’immigrazione, l’Aids, l’usura. Rappresentò, a partire dagli anni Settanta, un punto di riferimento per tanti che operavano nel sociale. Sacerdote della Chiesa romana, riuscì ad aggregare intorno a sé studiosi, operatori, sindacalisti e politici di varie estrazioni culturali e fedi religiose e a condurre con loro importanti battaglie per i diritti civili. Come avveniva in quegli anni, dovremmo saper coniugare la missione evangelica alle spinte di giustizia che arrivano dalla società: la divisione sociale, l’esclusione e le disuguaglianze che riguardano un numero sempre maggiore di persone.