Giorni di amare riflessioni, questi. Quando la sconfitta è così netta, non sai nemmeno se hai o meno titolo a dire la tua. Ma tant’è. In altra sede proporrò, con l’umiltà che le circostanze richiedono, una riflessione sulla difficile prospettiva del centrosinistra. Qui vorrei avanzarne una sul da farsi nel delicato tentativo di dare un Governo al Paese. Vorrei motivare, con tutta la prudenza e i dubbi del caso, l’opportunità per le forze progressiste (largamente intese, chi sono io per far distinzioni di sigle quando non ne hanno fatte gli elettori?) di esplorare la strada del sostegno a un monocolore 5 Stelle.
Innanzitutto, due premesse. La Lega e il M5S hanno, almeno apparentemente, tutto l’interesse ad un ritorno al voto in tempi brevi. La prima per consolidare la sua egemonia sul centrodestra post Berlusconi, il secondo per ampliare lo sfondamento da “voto utile alternativo” nell’ex elettorato di centrosinistra. Non appare quindi probabile che possano pensare ad un governo politico di legislatura sostenuto da entrambi.
L’altra premessa consiste in una breve rassegna dei tre realistici scenari che si prefigurano.
Il primo: non viene trovata una quadra per il nuovo governo. Con Gentiloni in ordinaria amministrazione o un governo istituzionale di scopo, la Lega e i 5 Stelle varano una legge elettorale in cui la quota di collegi aumenta a discapito di quella proporzionale e riportano il Paese al voto.
Il secondo: il centrosinistra, astenendosi o non partecipando al voto d’Aula, consente la nascita di un governo di centrodestra, sia pure con una guida meno indigeribile di Salvini.
Il terzo: il centrosinistra sostiene un monocolore 5 stelle sulla base di un accordo programmatico chiaro (l’astensione in questo caso non è sufficiente, stante il voto contrario del centrodestra).
Il primo scenario implica il forte rischio di una drastica riduzione della già decimata rappresentanza parlamentare del centrosinistra.
Il secondo scenario è quello in cui, se fossi un dirigente della Casaleggio associati, riporrei maggiori speranze. Le campagne elettorali sono faticose, è sempre bello quando a fartele è qualcun altro. Fuor di battuta, la reazione di rigetto che si innescherebbe in un elettorato tanto carico di attese e di aspettative sarebbe imprevedibile. È facile immaginare che sarebbe sfavorevole a qualsivoglia declinazione della sinistra, sia che prenda le forme di un En Marche in salsa toscana, sia che prenda quelle di un nuovo quarto polo.
Il terzo scenario infine, è quello auspicato da chi scrive. Non per convinzione, ma per necessità.
Non mi nascondo le incognite e i rischi implicati da una simile scelta. Anzi, li ho presenti al punto da dubitare della giustezza della mia tesi fin mentre ne scrivo. A sostegno di quel che penso, porto cinque considerazioni.
1. Una parte molto vasta dell’elettorato di Italia Bene Comune ha votato per il Movimento 5 Stelle. Come accennavo in premessa, mi soffermerò in altra occasione su come questo flusso evidenzi il fallimento parallelo del renzismo e del progetto di LeU. Qui è utile sottolineare l’insensatezza, da parte del centrosinistra, di rifiutare aprioristicamente il dialogo con la forza che ha catalizzato il consenso di una parte così rilevante della nostra gente. Non sono sicuro che liquidare con alterigia ogni possibilità di interlocuzione con chi rappresenta l’approdo dell’esodo di milioni di nostri elettori sia la giusta strategia per recuperarli. Una forza politica matura lavorerebbe a far emergere, agli occhi delle persone, le contraddizioni della compagine a cui hanno dato legittimamente fiducia. Farebbe seguire al proprio sostegno l’organizzazione nel Paese di spazi di dibattito permanente sull’indirizzo di governo e su ogni provvedimento rilevante, obbligando l’esecutivo al confronto con le parti sociali e con i tanto vituperati corpi intermedi. Avanzerebbe proposte sfidanti a favore di precari, disoccupati e dello sviluppo del Mezzogiorno, ovvero sui fronti su cui Di Maio ha vinto le elezioni politiche. Dimostrerebbe, in altre parole, di aver capito la lezione, e di saper migliorare la vita delle persone da una condizione di vigile e propositiva maggioranza meglio di un movimento antisistema (?) titolare di Ministeri e posizioni di sottogoverno. Inoltre, un’eventuale crisi di governo che si dovesse produrre nel corso della legislatura porterebbe a una rottura più facilmente spiegabile al Paese. Un no senza se e senza ma, prima ancora di provare, rende più difficile il tentativo di sancire l’incompatibilità tra centrosinistra e 5S, a cui tanti fanno riferimento in queste ore.
2. Fino al 4 marzo, che la partita fosse a due era percepito. Dal 5 marzo, è certificato. Una torsione maggioritaria del sistema di voto porterebbe, come ricordato, la marginalizzazione del centrosinistra a un punto prossimo al non ritorno. A perderne non saremmo soltanto noi, ma la qualità della vita democratica del Paese. È probabile che l’unico modo per ottenere una revisione in senso proporzionale della legge Rosato sia poterla negoziare in una trattativa per la nascita del Governo. Inoltre, vincolare l’iniziativa politica del M5S alla vigilanza di forze democratiche eviterebbe possibili fughe in avanti sulle fondamenta dell’assetto parlamentare repubblicano. Penso all’articolo 67 della costituzione sull’assenza di vincolo di mandato per i membri del Parlamento. Si potrebbero fare altri esempi relativi ai regolamenti delle Camere. Dubito che l’orientamento di Salvini in materia sia necessariamente distante da quello dei frequentatori del blog del M5S.
3. Un autorevole dirigente comunista, scomparso qualche anno fa, non perdeva occasione di raccomandare ai propri compagni di comportarsi nella marginalità come se detenessero la maggioranza. Oggi, assistiamo a una triste rassegna di dichiarazioni surreali, in cui l’analisi più che essere “gli italiani ci chiedono di cambiare rotta” giunge all’ineffabile conclusione per cui “gli italiani ci chiedono di star fuori dalle trattative per la formazione del Governo del Paese”.
Ci hanno insegnato che l’interesse nazionale precede quello della propria parte politica. A mio modesto avviso, è un principio che non vale a seconda delle congiunture, ma sempre. Oggi, l’interesse dell’Italia coincide con la pressante necessità di alleviare strutturalmente la sofferenza sociale. È ad essa che dobbiamo la permeabilità di fasce crescenti della popolazione a narrazioni xenofobe e a promesse irrealizzabili. Se la Legislatura nascitura non saprà ridurre la forbice delle diseguaglianze, ammesso che ciò possa togliere voti a chi è stato percepito come possibile soluzione, non vedo perché chi è stato ed è percepito come causa del problema dovrebbe avvantaggiarsene. Le rendite sono finite, se torneremo a crescere non sarà in forza del fallimento altrui. Esiste invece il pericolo che, se il centrosinistra non sarà nella condizione di poter rivendicare tentativi apprezzabili di orientare l’azione di governo in senso progressivo, il fallimento del M5S benefici forze apertamente reazionarie. La Storia, a dispetto dell’assenza di allievi, insegna.
4. Indubbiamente il Movimento 5 Stelle non dà certezze quanto a efficacia dell’azione di governo. È però difficile negare l’esistenza dei presupposti minimi per avviare una trattativa sul programma. A questo proposito, si veda quali sono a grandi linee le misure proposte, rispettivamente, dai Ministri dell’Economia, dello Sviluppo Economico e del Lavoro che Di Maio, qualora ricevesse l’incarico, si è impegnato a nominare. Dagli articoli linkati si può facilmente evincere che parte dell’azione di governo sarebbe tutt’altro che affidata all’improvvisazione di un meet up, ma ispirata alla miglior scuola keynesiana.
5. Abbiamo bisogno di tempo, tutti. Dentro e fuori il PD. Il renzismo e i suoi frutti avvelenati non si superano dalla sera alla mattina. Va avviata una comune fase rifondativa della sinistra italiana. Occorre ripensare il suo ruolo nel Paese, e quello dell’Italia in Europa, nel mezzo della transizione più incerta dell’era capitalistica. Occorre mettere mano alle sue forme organizzative, tarandole sulla nuova conformazione degli interessi e dei bisogni che vorremmo rappresentare. Occorre definire una nuova idea forza attorno cui costruire un progetto di governo. In altre parole, occorre costruire un partito, come non lo abbiamo mai davvero avuto dall’ormai lontano 2007. È l’unica prospettiva di rilancio di lungo periodo su cui possiamo realisticamente investire. Aprire il cantiere isolandoci dalla vicenda nazionale ci priverebbe di stimoli preziosi e temo non ci farebbe fare fino in fondo i conti con le nostre responsabilità. Inutile aggiungere che avviare una fase rifondativa con le elezioni alle porte presenterebbe difficoltà proibitive. Quale progetto per il Paese spereremmo di mettere assieme in pochi mesi? Il massimo che riusciremmo realisticamente a produrre sarebbe una leadership più digeribile. Ho paura che non basti.