Essere di sinistra può essere compatibile con una prospettiva politica di centrosinistra? Io credo proprio di sì. Anzi in alcuni casi (e tra questi quello che vive attualmente il nostro paese) potrebbe addirittura essere doveroso per sbarrare il passo a quelle destre che si dichiarano di centro e che in alcuni casi cercano, con una forte dose di improntitudine, di autocertificarsi di sinistra.
E allora facciamo un necessario passo indietro. In Italia abbiamo avuto due esperienze (in buona parte positive) di centrosinistra: la prima a cominciare dagli anni 60 (Moro, Saragat, Nenni, La Malfa). La seconda, quella meno lontana dell’Ulivo di Prodi, ma io aggiungerei anche di Andreatta e di D’Alema. Negli anni 60 col centrosinistra (quello senza il Pci, soprattutto per i noti e inderogabili motivi di collocazione internazionale dell’Italia) furono fatte importanti riforme di sinistra: statuto dei lavoratori con articolo 18, scuola dell’obbligo e scuola media unificata, riforma sanitaria, e sul piano istituzionale l’ordinamento regionale, previsto dalla Costituzione, ma non ancora a regime. Fu anche avviata la politica di pianificazione economica e si fece la nazionalizzazione dell’energia elettrica. L’esperienza dell’Ulivo, estesa non soltanto a chi veniva dall’esperienza del Pci, ma comprendente anche (in forme diverse) un ruolo per la sinistra di Bertinotti, portò il nostro Paese in Europa e chiuse per due volte la strada alla destra leghista e berlusconiana. Insomma: risultati se non entusiasmanti, almeno soddisfacenti.
Insomma essere di sinistra non è necessariamente contraddittorio con una prospettiva politica di centrosinistra. A una condizione: che le forze politiche che in quella prospettiva si riconoscono, siano di sinistra o almeno di centrosinistra. E qui viene chiamato in causa il Pd e soprattutto le scelte politiche di chi quel partito lo guida, dopo aver per lungo tempo ricoperto anche il ruolo di presidente del Consiglio. Non si può fare a meno di notare che il governo Renzi non soltanto non ha sviluppato le riforme che altri governi di centrosinistra avevano fatto, ma è andato anche oltre: job act al posto della riforma Giugni-Brodolini; la buona scuola con il contenimento dell’autonomia dei docenti; il cosiddetto sblocca Italia con relativi condoni più o meno mascherati, in un Paese nel quale ci sarebbe invece bisogno di una seria legge per la difesa del suolo. Naturalmente il tutto accompagnato dall’abolizione dell’Ici sulla prima abitazione (anche se di lusso). E questo mentre i nostri giovani laureati non hanno prospettive di contratti di lavoro a tempo indeterminato o comunque duraturi, e nella migliore delle ipotesi fanno gli stagisti per quattro soldi.
E’ roba di centrosinistra questa? Non credo proprio. E non è quindi un caso che chi guida oggi il Pd, per trovare sponde e alleati, debba guardare a destra: ad Alfano non soltanto in Sicilia, e, in prospettiva più generale, ad una grande intesa con Berlusconi, magari in nome di slogan abusati e reazionari del tipo: meno tasse per tutti. Senza farsi mancare una legge elettorale che ancora una volta potrebbe non fare scegliere i parlamentari con il voto dei cittadini.
Ma allora la domanda non è se sia meglio la sinistra o il centrosinistra (questione prevalentemente se non esclusivamente nominalistica), ma se il Pd, questo Pd, è compatibile con il centrosinistra. E la risposta non può essere certo confortante. Insomma: per essere compatibili con il centrosinistra non basta sbraitare nei comizi di Imola: “Noi siamo la sinistra di Obama e loro sono la sinistra di Bertinotti”. Il primo slogan sembra una cattiveria verso l’ex presidente degli Stati Uniti. Il secondo è una penosa bugia. Il programma di Articolo 1 non ha niente a che vedere con vecchi massimalismi. Se mai ricorda quello di Saragat, il quale si preoccupava di dare anche una base sociale al centro sinistra di allora definendolo “l’alleanza tra il ceto medio e il proletariato più avanzato”. Oggi purtroppo i conti si fanno con il ceto medio più indebolito e un proletariato che è in larga parte precariato.
Questo è il campo ampio con il quale si dovrà cimentare la sinistra a forte identità e con coraggiose punte di radicalità e, perché no, di giacobinismo, senza per questo cadere in vecchi e superati massimalismi. Se una volta era il centro degasperiano a guardare a sinistra, oggi potrebbe toccare a quest’ultima farsi carico dei problemi di un centro che non sa o non vuole contrastare le peggiori destre.