Di che cosa parliamo quando diciamo civismo, partecipazione, nuovo centrosinistra? C’è un mondo che sembra sfuggire alla politica anche quando questa vorrebbe interessarsene. Per provare a capire abbiamo parlato con Giovanni Ruvolo, sindaco di Caltanissetta.
Un sindaco civico, giusto? Accetta la definizione?
Sì. O meglio un sindaco rappresentativo di un movimento civico, che declina il civismo come soggettività politica.
Possiamo anche aggiungere “di centrosinistra”?
No: il civismo non si può connotare con i tradizionali schemi politici. Ma del resto oggi nemmeno i partiti si definiscono più in questo modo!
Ha partecipato alle primarie del Pd?
Personalmente no, ma gli aderenti al movimento sono liberi; alcuni hanno partecipato alle primarie, altri no.
Il movimento “del sindaco” quindi non è un movimento “personale”…
Assolutamente no. Il civismo raccoglie impegno che viene speso sul territorio per la promozione della responsabilità del cittadino, nel sociale, nell’associazionismo, nell’impresa sociale, in realtà che esprimono progettualità dal basso e creano relazioni. Il civismo si basa sulla relazionalità. È realizzazione di sistemi, di una cittadinanza che si connette e si collega attraverso una progettualità condivisa nel mondo sociale, economico, culturale.
Ma non dovrebbe essere il compito della politica questo?
Il civismo infatti è politica. Riporta la politica nei suoi luoghi, al suo posto e al suo ruolo.
Ma questo non dovrebbero farlo i partiti?
I partiti hanno perso ogni collegamento con le realtà sociali. Sono contenitori vuoti che gestiscono potere. Hanno perso di vista i cittadini.
Quando sente Giuliano Pisapia parlare dell’obiettivo di riconnettere questo mondo civico alla politica in un nuovo centrosinistra lei cosa pensa? È interessato?
Una premessa: quando il civismo si esprime nell’ambito politico è un soggetto politico a tutti gli effetti. Volerlo annettere è un controsenso, significherebbe non riconoscerlo; il civismo è una realtà con cui dialogare, una sensibilità politica con cui condividere progetti che nascano dal basso, mettendo insieme il particolare fino a creare identità comuni. La mia speranza è che questo possa non avvenire solo a livello locale, ma anche nazionale. I partiti non ci stanno riuscendo, infatti l’Italia non ha un progetto di sviluppo complessivo, è un paese del quale nessuno riesce per così dire a fare la sintesi.
E Pisapia?
Pisapia penso sia capace di operare in questo senso, ha tante qualità per poterlo fare. L’importante è che si ponga, con le realtà civiche, in una dimensione e in un atteggiamento di riconoscimento reciproco.
E in questo modo sarebbe possibile riuscire a portare il civismo dentro il gioco politico, in vista di un nuovo centrosinistra?
Sì, se questo nuovo centrosinistra accettasse di riconoscere il civismo come realtà politica. Il civismo che c’è, e che non è quello dei Cinque stelle. È una realtà, anche se se ne parla poco. Ci sono reti di amministratori, associazioni e movimenti locali in tante regioni. C’è un base organizzativa che potrebbe essere spesa dentro un progetto nazionale che partisse dalla valorizzazione dei territori e delle località per generare un progetto complessivo. Io ci credo, e penso che sia questa la strada per riportare i cittadini a essere protagonisti della politica