Al momento lo stato dell’arte sembra questo: il primo obiettivo, più a breve che a medio termine, del Pd è andare al voto presto e comunque. E di farlo con buona pace delle sorti del governo Gentiloni, grazie all’accordo con i grillini e con la prospettiva di governare (ammesso che ci siano i numeri) con Berlusconi e i suoi alleati leghisti e lepenisti e con l’introduzione di una legge elettorale, pomposamente definita tedesca, ma che di tedesco avrebbe soltanto lo sbarramento al 5 per cento e un solido impianto proporzionale all’indomani della decantata vocazione maggioritaria. Un’accelerazione che comporterebbe il rinvio della manovra economica ad elezioni avvenute, il ricorso all’ esercizio provvisorio del bilancio che, in tempi di euro e globalizzazione, non è certo una camminata di salute per il Paese, come i mercati già cominciano a segnalare.
Se questo schema andrà in porto (e non è detto perché qualche dettaglio non indifferente è ancora da definire) acquistano particolare consistenza e attualità alcune domande che da “Repubblica” Ezio Mauro, in un editoriale di pochi giorni orsono, poneva al Pd: qual è il profilo culturale della nuova stagione “convulsa e precipitosa”, quella del cosiddetto Renzusconi, credo? E “in nome di quale mandato Renzi consegna il Pd appena riconquistato all’intesa con la destra”? E naturalmente qual è ora l’idea di sinistra che il Pd e il suo leader hanno, visto che ad essa si fa riferimento “nell’atto di nascita e nel patto con i cittadini”?
Le tre domande di Mauro si potrebbero riassumere in una sola: qual è l’identità del Pd? O anche: ha un’identità da proporre al partito che ha da poco riconquistato, Matteo Renzi? E qui l’editorialista propone una chiosa tutt’altro che secondaria: “La vera battaglia con il populismo è culturale, dunque ha bisogno di identità forti, riconoscibili, dichiarate, non di minimi comun denominatori che possono produrre soltanto governi-badanti di un Paese che non sa più crescere”.
Chissà se, nelle more della sua corsa al voto, Renzi troverà il tempo e il modo di rispondere alle domande poste da Mauro. Le quali non riguardano soltanto Renzi e il Pd, ma un po’ l’identità di quel vasto mondo che continua a considerarsi riformista e di centrosinistra, sebbene quello spazio politico, che potremmo definire socialdemocratico, soprattutto nell’esperienza italiana, non sia soltanto socialdemocratico, come ci dimostra l’esperienza e la storia dei cattolici democratici, che riuscivano a farsi sentire (nella Dc e fuori) anche ai tempi di papa Pacelli, e oggi hanno la soddisfazione di ritrovarsi convintamente nei discorsi di Papa Bergoglio. Insomma: le domande di Mauro riguardano anche e soprattutto Articolo 1 e coloro che, dando vita a quel soggetto politico, hanno ritenuto impossibile la prosecuzione del proprio percorso riformista nel partito di Renzi.
Io credo che nella tre giorni di milanese di “Fondamenta”, una vera e propria conferenza programmatica, il nuovo movimento abbia accentuato il proprio profilo e la propria identità riformista, mettendo al primo posto del proprio programma il graduale superamento, attraverso il rilancio della centralità del lavoro, delle troppe diseguaglianze che caratterizzano il nostro tempo e il nostro mondo. Le cose che oggi sono al centro dei discorsi di papa Francesco e che nel 1959 furono al centro della svolta dei socialdemocratici tedeschi a Bad Godesberg. quando decisero l’abbandono delle ortodossie marxiste riconoscendo il ruolo del mercato della concorrenza e della impresa senza però rinunciare all’indispensabile ruolo dello Stato nella definizione di ciò che deve fare lo stato per definire le regole anche nell’economia.
L’identità della nuova forza politica è e resta una forte identità riformista. Senza inutili tentazioni massimaliste. Ma con una convinzione in più: il riformismo non è la destra della sinistra. I suoi confini sono stati ben disegnati a Bad Godesberg e non sono quelli che vorrebbero i tardi epigoni di un blairismo di casa nostra. I quali rischiano di portarci (la citazione è ancora dell’articolo di Mauro) verso “un sistema politico arroccato, devitalizzato in un’opportunistica corsa al centro, confuso dentro l’indistinto democratico”.