Trovo sbagliato che in un accordo strategico con la seconda potenza mondiale, le cui merci solcano sempre più il Mediterraneo, il Sud del Paese sia tagliato fuori. Non è una lamentela dettata da rivendicazioni localistiche; ma il nostro Paese non può non porsi il problema in termini di unità e coesione nazionale.
Il MoU firmato da Xi Jinping e Giuseppe Conte prevede in maniera esplicita un capitolo sui porti di Genova e Trieste. Dove sono finiti i porti di Gioia Tauro, Taranto, Napoli e Salerno che possono accogliere non solo il traffico dei container ma il traffico petrolifero, il traffico marittimo e lo “short sea shipping”? E la constatazione sulla posizione baricentrica del Mediterraneo rispetto al doppio canale di Suez e rotta Gibilterra?
Il Mezzogiorno è il vero “Hub del Mediterraneo”; la porta commerciale per gli itinerari marittimi e terrestri fra Est e Ovest. La qual cosa è, di fatto, il core business del progetto cinese “One Belt One Road”.
Piuttosto, il punto delicato è non avere alle spalle dei nostri porti meridionali un sistema infrastrutturale adeguato e un apparato industriale competitivo e attrattivo.
Ma questo non è colpa del destino, né dei cinesi, ma di un calo degli investimenti (-23,4%) tra 2008 e il 2017 e la mancanza di pianificazione infrastrutturale lungo tutta la “colonna vertebrale” del Paese, isole comprese.
Non possiamo illuderci sulla portata delle ZES che sono non il fine ma uno strumento; e che, in tutte le realtà dove sono state sperimentate, hanno ricadute di lungo termine.
Quello che serve è una politica complessiva per l’attrazione degli investimenti industriali e per lo sviluppo produttivo delle regioni del Mezzogiorno, assieme a un innalzamento della qualità nell’offerta dei servizi di logistica.
La ricetta esiste per fare impresa con successo: a) investire in innovazione; b) puntare sulle tecnologie; c) promuovere il capitale umano; d) internazionalizzarsi in un mondo globale.
Chi si trincera dietro l’illegalità diffusa, chi si giustifica con la fuga dei giovani, al fondo si deresponsabilizza.
AAA cercansi investimenti e politiche industriali per il Sud. C’è una carenza evidente delle istituzioni ai vari livelli rispetto a scelte visibili di politiche tese allo sviluppo delle industrie nel Mezzogiorno.
E gli imprenditori restano timidi negli investimenti di capitale a rischio. Gli investimenti, peraltro solo annunciati, di FCA a Pomigliano e di Arcelor Mittal a Taranto sono due iniziative che non appartengono alle politiche industriali portate avanti dal Governo e/o dalle Regioni Campania e Puglia.
Non voglio “scoprire l’acqua calda” ma gli investimenti o sono pubblici o sono privati o magari un “merging” di entrambi. Due sono le strade che sarebbe auspicabile potessero anche sovrapporsi ed intrecciarsi:
– Cdp con una vocazione anche di banca pubblica, con tutele per i soldi dei risparmi.
– Investitori disponibili partecipare a determinate attività con un certo coefficiente di rischio, attraverso i cosiddetti “venture capital”.
È su questi aspetti strategici, con visione futuro ma con dovuta attenzione per il presente, che bisognerebbe concentrarsi; piuttosto che rincorrere le farfalle con il coppo sui prati primaverili.
Da questa mia articolata riflessione, emergono chiare quattro tematiche su cui la Sinistra Unita, attraverso magari la propositività di Articolo Uno, dovrebbe “fare focus” per offrire così un modello di sviluppo e provocare quella famosa scintilla che riaccende la fiducia:
1. Unità e coesione nazionale, attraverso sentiment e governance.
2. Investimenti pubblici e privati sul territorio.
3. Politiche industriali per tutto il Paese, non solo al Sud.
4. Mezzogiorno come opportunità ed hub del Mediterraneo.
Speriamo se ne accorgano anche i “gemelli romani”, ancora nella cesta in attesa della materna lupa.