Di tutti i risultati elettorali di domenica, per me il più impressionante è Pistoia. Pistoia al ballottaggio, guardate, è già abbastanza una notizia. Quando successe l’ultima volta, dieci anni fa, ci facevano gli editoriali sulle “fondamenta” (giuro) della sinistra a rischio (Pistoia e Genova anche allora, pensate). Nel 2007, il candidato dell’Unione si chiamava Renzo Berti e aveva sfiorato la vittoria al primo turno chiudendo al 48 per cento (poi “ripristinò la normalità” con un 53,3 per cento al ballottaggio). Samuele Bertinelli è un sindaco uscente, giovane, di sinistra senza incertezze e senza ambiguità. Non c’erano a Pistoia, come nella Liguria del 2015 che vide il centrosinistra clamorosamente sconfitto, “cattivi” scissionisti di sinistra cui addossare le responsabilità dei voti mancanti. Tutto il centrosinistra lo sosteneva. Bene: cinque anni fa Bertinelli aveva vinto al primo turno superando il 59 per cento. Domenica è finito al ballottaggio col 37,53 per cento. Trentasette per cento. A Pistoia.
Per questo Pistoia mi ha fatto pensare a una frase, una specie di riflesso condizionato, che forse dovremmo smettere di utilizzare come un mantra consolatorio. Si può ancora sostenere che “il centrosinistra quando è unito vince”? Forse no. Forse non basta più. L’ho scritto sui social ieri, ed è stato un post molto condiviso e anche, forse, molto equivocato. Provo a spiegarmi meglio.
Il pensiero che la strada giusta sia arroccarsi in qualche ridotta di sinistra identitaria, e magari “da lì ripartire” coltivando la propria purezza, è quanto di più lontano da ciò che volevo dire. L’idea che non serva un federatore, o magari più di uno, personalità capaci di tenere insieme un campo, come si dice, “largo e plurale” che appaia e sia “un centrosinistra”, per noi quasi anziani se volete “un nuovo Ulivo”, e non un partitino, è il contrario di quello che penso. Il punto è che temo non sia sufficiente. La realtà va guardata in faccia.
Per esempio, qualcuno ieri mi ha detto “hai ragione, ma guarda che Bertinelli lo ha azzoppato Bartoli”. Roberto Bartoli sapete chi è? E’ un renziano della prima ora, il capo dei renziani di Pistoia. Si è candidato, ha fatto una lista e l’ha chiamata “Pistoia sorride” (“un sorriso”, cit.): ha superato l’11 per cento. Perché lo abbia fatto, non lo so. Ma so cosa vuol dire questa cosa. L’altro giorno il tesoriere del Pd Bonifazi ha bullizzato Pisapia per aver fatto un riferimento a primarie di coalizione come condizione per parlare con Renzi: è stato notato che con un atteggiamento come questo di coalizioni, al di là dei proclami e delle veline ai giornali che fanno i titoli sulle varie “aperture”, non se ne fanno. Ma nessuno si è fatto una domanda: e se le primarie di coalizione le perdessero i renziani? Ci starebbero, in un centrosinistra con il federatore Pisapia, o con chiunque altro, vincitore delle primarie e quindi leader? O farebbero come Roberto Bartoli? E se le primarie le vincesse Renzi, quanti elettori – non dirigenti di Articolo 1 o di Campo progressista – si convincerebbero a votarlo? C’è oggi una personalità capace di garantire, ci sono oggi le condizioni per dire che, ammesso e non concesso che si metta in moto un processo coalizionale, quello che ne uscirebbe sarebbe qualcosa che sta insieme?
Vedremo i ballottaggi, e speriamo. Ma fatti come questo fanno sospettare di no. Il centrosinistra quando è unito non vince – o rischia di non vincere, perché comunque non è unito. Ma credo che il problema sia anche un altro. Un problema di credibilità della proposta. Agli elettori – tanti – che il Pd sta perdendo negli ultimi anni (quasi la metà rispetto al 2012, un’altra costante delle ultime tornate amministrative) perché non convinti (o peggio) della sua progressiva identificazione con Renzi, a quelli che “sono andati nel bosco”, non basta sentirsi dire “ehi, guarda che c’è un centrosinistra unito” per tornare. Non si fidano. Stanno a casa (nelle regioni “rosse” c’è l’astensionismo più alto, una tendenza ininterrotta dalle regionali emiliane 2014), o votano altro. Non votano nemmeno, se non solo in parte, altre liste di sinistra. Non abbastanza comunque. Né per le nostre ambizioni, né per il centrosinistra.
E quindi? Se lo sapessi ve lo direi eh. Ma forse, quindi, dobbiamo uscire un po’ dagli schemi. Puntare su altro, su altri argomenti. Dire più chiaramente che cosa vogliamo, che cosa intendiamo per. Non descrivere dove ci collochiamo nelle geometrie della politica, ma rivolgerci a chi abbiamo l’ambizione di rappresentare e trasmettergli l’idea che parliamo di loro, che cambiamo strada e linguaggio, vada come vada, che abbiamo capito che così non va bene, che da anni non va bene. Come Corbyn, eh sì, ma guardate che Macron non ha fatto tanto diverso.