Ho conosciuto Tonino Guerra – nato a Santarcangelo di Romagna, il 16 marzo 1920 – attraverso il modo come ne parlava Renzo Renzi. Un po’ si assomigliavano. Stessa generazione. Stessa terra. L’uno emiliano, l’altro romagnolo. Guerra, il poeta. Un narratore del mare e dell’entroterra. Tra cinema e letteratura. Sceneggiatore di cento film. Anche lui deportato, internato in Germania, durante la seconda guerra mondiale.
Su quell’esperienza di fili spinati, costrizione, detenzione, la poesia La farfalla:
“Contento, proprio contento
sono stato molte volte nella vita
ma più di tutte quando
mi hanno liberato in Germania
che mi sono messo a guardare una farfalla
senza la voglia di mangiarla”.
Nei primi anni Cinquanta si trasferisce a Roma. Resta nella capitale fino al 1984, poi fa ritorno a casa. Dopo un breve periodo trascorso nella città natale, sceglie, come dimora, Pennabilli, nel Montefeltro. Inizia a comporre versi in lingua romagnola, durante la prigionia nel campo di concentramento di Troisdorf, in Germania, parte dei quali vengono raccolti nel primo libro I scarabocc del 1946, a firma Antonio Guerra, con la prefazione di Carlo Bo, dall’indomani della seconda guerra sino all’inizio del terzo millennio, ininterrottamente, per oltre mezzo secolo, rettore dell’Università di Urbino.
Segue la raccolta I bu, con introduzione del più filologo tra i critici, Gianfranco Contini. Nella collana I Gettoni di Einaudi, curata da Elio Vittorini, Tonino Guerra pubblica, nel 1952, il racconto La storia di Fortunato.
Bo, Contini, Vittorini: la cultura letteraria italiana, di diverso orientamento critico, di quegli anni.
Le sue prime sceneggiature nascono per i film Un ettaro di cielo di Aglauco Casadio, che uscirà nel 1957, e Uomini e lupi, di Giuseppe De Santis, nel 1956. Da quel momento Tonino Guerra si dedica all’attività di scrittore di cinema con i più importanti registi dell’epoca.
Qualche nome: Elio Petri, Franco Indovina, Vittorio De Sica, Damiano Damiani, Mauro Bolognini, Mario Monicelli, Franco Giraldi, Alberto Lattuada, Paolo e Vittorio Taviani, Marco Bellocchio, Francesco Rosi, Federico Fellini, Theo Anghelopulos, Andrej Tarkovskij, Michelangelo Antonioni. Con quest’ultimo firma, nel 1959, L’avventura. Insieme all’episodio Il filo pericoloso delle cose, nel film Eros, presentato al Festival di Venezia nel 2004.
Nel 1973, Amarcord, è insignito dell’Oscar, prima sceneggiatura per Federico Fellini, con cui scrive anche E la nave va nel 1983, Ginger e Fred nel 1985. Con Fellini lavora alla preparazione di Prova d’orchestra e Casanova.
Una produzione vasta, scandita da significativi premi, tra cui il Pirandello.
Pubblica con Bompiani e Rizzoli, dà avvio, con Il miele, nel 1981, alla stagione dei poemi della Maggioli, editore di Santarcangelo. Artista a tutto tondo, Tonino Guerra si dedica alla pittura, alla scultura, con allestimenti, installazioni, mostre, insieme a parchi e fontane.
Muore a Santarcangelo di Romagna pochi giorni dopo aver compiuto novantadue anni, il 21 marzo 2012, nel giorno di primavera.
Nel 2010, in occasione dei suoi 90 anni, riceve il David di Donatello alla carriera. Il 10 novembre 2010 è insignito dall’Università di Bologna del Sigillum Magnum. Un caso unico di localismo cosmopolita. L’esponente della cultura italiana provvisto di un sorprendente spettro di rapporti, da ovest a est.
L’Emilia, in particolare la Romagna, ponte orientato a tenere insieme i due lembi, di qua e di là dall’Adriatico, quello occidentale insieme a quello orientale, sia nel passato più lontano, sia in un presente segnato dal nuovo orizzonte europeo.
Cultore del dialetto senza alcun accento provincialistico. Sposato con una signora russa. La voce delicata, sottile, suadente. Analoga, come timbro, a quella di altri conterranei, come Pasolini e Fellini. In un tempo di grida sguaiate afone ed effimere, la sua, invece, destinata a rimanere.
Non solo: Tonino Guerra, “bucava” il video. Non a caso la sua affabilità era efficace nel mondo della pubblicità; da ultimo a favore dell’Associazione Nazionale Tumori. Una cifra inconfondibile, che chi ha avuto modo di ascoltare non dimentica. Una voce rivelatrice della nostra identità: non qui, nel mondo.