Ricordo di Luigi Mariucci, l’articolo uno della Costituzione come bussola

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Mi è capitato di leggere questa frase: “Se imparassimo a voler bene ai vivi come ai morti, il mondo sarebbe un posto meraviglioso”. Vero. La morte ci sorprende sempre. Sottoponendoci a una miscela di incredulità, smarrimento ed emozione. Inevitabile far prevalere l’affetto. Ma dopo lo choc occorre compiere lo sforzo di riconoscere l’identità di chi ci ha lasciato, il timbro di una testimonianza autentica, il suo tratto inconfondibile e unico. Luigi Mariucci, mancato lo scorso 10 dicembre dopo un ricovero in ospedale a causa del Covid-19, è stato un giuslavorista della “scuola bolognese” e, insieme, un nostro compagno. Professore universitario, consigliere e assessore regionale, animatore infaticabile di idee e progetti.

Ci sono nella sua biografia due momenti che mi preme riprendere. Il primo risale all’inizio degli anni Novanta. È il momento in cui il sistema politico viene sottoposto a un trauma, a un movimento tellurico. Le faglie che lo scuotono in profondità sono almeno tre: etica, istituzionale, economico-sociale. Vanno distinte ma sono anche intrecciate. Tangentopoli, l’implosione della democrazia dei partiti e l’affiorare di una crisi finanziaria che sollecita una nuova concertazione nel Protocollo del 23 luglio 1993, con Carlo Azeglio Ciampi presidente del Consiglio e Gino Giugni ministro del Lavoro nonché “padre” dello Statuto dei Lavoratori.

Luigi fu, in quella fase, attivo animatore di un fermento capace di rappresentare un punto di coagulo tra società e politica, per una sinistra rinnovata, non rinchiusa nel recinto, ma aperta a una pluralità allargata di voci e di punti di vista. Il suo lavoro politico non è mai stato ripiegato sugli aspetti meramente organizzativi. Ma ispirato al primato della cultura politica. Il suo impegno amministrativo orientato a cogliere il cambiamento fondandolo su una salda identità costituzionale.

Non credo sia interessante ripercorrere la storia successiva, sin troppo nota, sotto il profilo delle speranze e ancor più delle delusioni. Negli anni più recenti, in esito alla crisi iniziata un decennio prima, tra Jobs Act e referendum del 4 dicembre 2016, si chiude un ciclo, accentuando un malessere e profilando una alterità che hanno concorso a motivare il tentativo di dar vita ad Articolo Uno. Luigi riflette, discute, accompagnando, dal suo osservatorio – tra Costituzione e diritto del lavoro – le ragioni del duplice dissenso al Jobs Act e al referendum.

Durante la campagna elettorale del 2018 contribuisce a redigere un documento sottoscritto da personalità dell’Università, della cultura, dell’impegno sociale, civile e amministrativo, con queste parole: “Le destre si battono non inseguendole sul loro terreno, cedendo alle lusinghe fallimentari del liberismo, come si è fatto con il Jobs Act, ma se i valori fondanti della cultura progressista vengono proiettati coerentemente verso il futuro: perseguendo politiche orientate a promuovere il lavoro buono, e non il precariato generalizzato, a realizzare l’effettiva parità retributiva tra uomini e donne, sostenendo le imprese innovative che fanno della qualità ambientale e della qualità del lavoro la loro risorsa essenziale e non le imprese che cercano profitti speculando sullo sfruttamento del lavoro, investendo davvero in una scuola pubblica inclusiva e di qualità, ricorrendo all’intervento pubblico per orientare il mercato, favorendo uno sviluppo ecologicamente sostenibile e non limitandosi all’inutile distribuzione di bonus”.

Nella sua intensa attività pubblicistica Luigi è stato una firma dell’“Unità”, collaborando, con periodici commenti, soprattutto nel periodo della direzione di Claudio Sardo. Poi ha proseguito questo impegno insieme a un pezzo della redazione su “Strisciarossa”. Chi abbia curiosità, può cliccare qui la pagina del sito a lui dedicata. Vi troverà i suoi interventi negli ultimi anni, tra il 1° dicembre 2017, Amazon, giù il velo della finta modernità, e il 20 marzo 2020, Cinque cose che la pandemia sta già cambiando. In particolare, meritano un rilettura questi due articoli: Lavoro, un decreto inadeguato e la deriva del Pd del 7 agosto 2018 e Schiaffo della Consulta: sugli indennizzi ai licenziati il Jobs Act è incostituzionale del 26 settembre 2018.

Vi sono riassunti i motivi di quello che è successo tra il 4 dicembre 2016 e la fine di febbraio 2017, anche in relazione alla nascita di Articolo Uno. Senza alcuna retorica, anzi, con piena coscienza dei limiti di un progetto non privo di un implicito messaggio dialettico: rompere per determinare condizioni diverse per una possibile e tutt’altro che scontata ricomposizione.

Nel profilo umano, intellettuale e politico di Luigi, tra il fermento partecipativo dell’inizio degli anni Novanta e il contrasto sui punti del lavoro e della Costituzione degli anni più recenti, non c’è contraddizione. Troppo spesso, assecondando la tendenza a presumere nuovi inizi o anni-zero, si tende a derubricare la ricerca politica precedente come segnata da inadeguatezze o fallimenti: quando invece si tratta del rovello, nel mutare delle situazioni, di una sinistra di governo nella quale Luigi Mariucci ha creduto e di cui è stato un interprete credibile grazie al suo profondo radicamento costituzionale.

La sua idea del lavoro è ben sintetizzata in un articolo pubblicato su “Europa” del 26 maggio 2010 nel quale Luigi sottolineava “l’asse di fondo del diritto del lavoro italiano nella sua concreta evoluzione storica”. Aggiungendo: “Questo asse è costituito dall’intreccio tra Costituzione e Statuto dei diritti dei lavoratori, tra diritti del lavoro e diritti di cittadinanza. L’articolo 18 dello Statuto è la norma-simbolo di questo assetto: è una norma in cui si realizza un principio fondamentale di civiltà giuridica, quello per cui il licenziamento illegittimo non può estinguere il rapporto di lavoro, non può essere monetizzato”.

Ecco: non può esserci monetizzazione che possa compensare il diritto alla dignità del lavoro.

All’indomani della scomparsa, Articolo Uno Bologna ha sottolineato come proprio il lavoro sia stato il vero fil rouge del profilo intellettuale e politico di Luigi. La sua bussola nello Statuto dei lavoratori, sin dalla laurea, in coerenza con quell’articolo uno della Costituzione che lo pone all’inizio, al centro e a fondamento dell’edificio costituzionale.

Il pensiero di Luigi, la sua parola – col suo tipico accento – rimangono e costituiscono un patrimonio di vita vissuta e insieme un progetto a disposizione non solo di quanti hanno condiviso i suoi valori e gli hanno voluto bene, ma anche di tutti coloro che vogliono continuare a credere in un Paese più giusto.

Marco Macciantelli

Allievo di Luciano Anceschi, dottore di ricerca in Filosofia, già coordinatore della rivista “il verri”, agli studi e alla pubblicazione di alcuni libri ha unito l'impegno politico di amministratore pubblico.