Resilienza: “capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi”
Nell’era del Covid e della crisi che ha accentuato viene usato questo termine per spingerci a sopportare e infatti il suo significato è proprio questo, la sopportazione.
Credo che non basti, che sia fuorviante, meglio il termine di resistenza che vuol dire resistere e costruire qualcosa di nuovo.
Se questa maledetta pandemia qualcosa ci ha insegnato è che non solo si deve avere la forza di resisterle, di sopportare le privazioni cui ci costringe, ma che da essa si deve uscirne con nuovi orizzonti, la resilienza è passiva, la resistenza è attiva.
E allora se ne deve uscire con nuovi rapporti tra le forze sociali, con più diritti, riaffermando quei diritti sociali che con la scusa della pandemia sono stati ancora di più sottratti nel tentativo di cancellarli del tutto.
La pandemia ha accentuato la crisi e allora i predicatori della resilienza, i vari Briatore e Santanché teorizzano che il povero deve accontentarsi mentre loro si fagocitano fantastiliardi…
Utilizzare la pandemia come strumento per azzerare i diritti di chi lavora ogni giorno, di chi fa fatica ad arrivare a fine mese non può reggere anche perché è lapalissiano che in una società dove solo in pochi hanno potere di acquisto è assai difficile che si possa ripartire.
Siate resilienti, accontentavi di pochi euro di salario che ne usciremo; certo, voi ne uscirete e noi resteremo sempre al palo.
Mai come in questa fase la battaglia per un salario minimo stabilito per legge ha un senso di ripartenza vera, di riconoscimento della dignità del lavoro, di tutela e di costruzione di un avvenire, così come lottare per la proroga del blocco dei licenziamenti.
Il post pandemia che quasi vediamo dietro l’angolo non può basarsi sul continuo sfruttamento della forza lavoro, non può essere un’uscita a senso unico, il lavoro, la sua dignità e il suo valore sono l’unico orizzonte.
Per questo la resilienza non può che fare posto alla resistenza.