Nell’avvicinarsi alle elezioni europee si allargano inevitabilmente le distanze tra una parte della sinistra che ritiene sufficiente la declamazione dei principi e delle parole d’ordine e una parte che invece pensa che la ricostruzione di un vasto fronte democratico e progressista non possa che passare dal lavoro paziente di ricucitura e di dialogo tra le forze del socialismo europeo, ciascuna con il suo portato, nessuna autosufficiente e bastevole a se stessa.
Il bivio di fronte al quale ci si trova è questo: la scelta tra la declamazione e la costruzione, tra l’accento più forte e il paziente lavoro di ricucitura di un fronte vasto che sappia erigere un argine alle destre nazionaliste il cui scopo è la disgregazione dell’Europa.
Non vi è dubbio che l’una e l’altra sinistra stiano dalla stessa parte e non vi è dubbio che si possano ritrovare, la distanza e la differenza è tutta nella diversa scelta del cammino che si ritiene più opportuno seguire; la pura testimonianza che comporta la rinuncia alla costruzione oggi rappresenta il più nefasto passo indietro e rischierebbe ove tutta la sinistra facesse suo questo principio di portarci, e il pericolo è dietro l’angolo, a situazioni nelle quali la testimonianza sia l’unica azione possibile.
Costruire, ricostruire un pensiero, un’elaborazione e una azione che tentino di allontanare e spostare le cariche esplosive che le destre sovraniste stanno collocando lungo le mura del continente è l’obiettivo cui non è possibile rinunciare in uno scenario cupo che rischia di portare il continente a immense deflagrazioni, sino alla guerra.
Preso atto che oggi la contraddizione principale è tra nazionalismi che stendono il tappeto alla continua disparità, all’allargamento della distanza tra ricchi e poveri, alla concentrazione vorticosa delle ricchezze nelle mani di pochi non è possibile non porsi il compito di avere un ruolo attivo entrando in questa contraddizione, collocandosi nel campo giusto, rifuggendo dalle tentazione di porsi, puri e immacolati in un limbo di astensione di fatto dalla battaglia che si deve combattere.
L’idea di un europeismo socialista e costituzionale deriva dallo sforzo di coniugare gli interessi nazionali con quelli europei, di cogliere la necessità di cessione di sovranità con lo sviluppo di politiche più ampie che tendano a non lasciare indietro intere regioni del nostro continente e la battaglia deve essere portata avanti tanto negli ambiti continentali che in quelli nazionali di fronte al tentativo di suddivisione non solo dell’Europa in nazioni forti e nazioni deboli, ma di frammentazione e discriminazione all’interno delle stesse realtà nazionali comprendendo che se per l’Irlanda la Brexit rappresenta un serio e grave pericolo, come lo rappresenta per tutto il continente, per le regioni povere del nostro Paese lo rappresenta il tentativo attraverso l’autonomia differenziata di lasciarle al loro destino configurando per una parte della nostra penisola una sorta di “sudexit”; il tentativo di una parte della sinistra di costruire una sorta di sovranismo “gauchista” palesa l’incapacità di leggere il momento attuale ritirandosi in una riserva asfittica.
Il compito oggi della sinistra è riportare sul tavolo la necessità di liberazione dall’aggressione del neocapitalismo finanziario, i temi della redistribuzione della ricchezza, della sostenibilità ambientale, dell’universalità del welfare e per fare questo si deve aggredire la malattia e non limitarsi a curarne i sintomi riuscendo a individuare nel neoliberismo l’origine delle sempre più estese disparità oggi presenti; un tempo le febbri e le influenze si curavano con l’acqua fredda per alleviare i sintomi, poi sono arrivati gli antibiotici per aggredire la malattia, la sinistra oggi non può pensare di essere acqua fredda, deve, necessariamente essere antibiotico.